giovedì 30 ottobre 2014

AUTONOLEGGIO.

A CURA DI  Lino  Augias


Via Roma, nei pressi della casa della famiglia Ciccotti e della sua grande amica,  abitava la mia cara nonna paterna Giovanna.
La Signora Ciccotti, grande mamma dei numerosi fratelli Ciccotti, è stata la prima che ha impiantato un'attività di noleggio ad ore delle vetture senza autista; esse venivano consegnate con il pieno di benzina e pronte per il viaggio.  Era un'attività importata direttamente da Napoli, luogo di nascita della Signora, e quindi novità assoluta per la Sassari di quei tempi, infatti ebbe un grande successo.



mercoledì 29 ottobre 2014

"LI ZAPPADORI" SASSARI



A cura di WEBMASTER (da un post di Mario Grimaldi)



FIAMMIFERO




A CURA DI Mario Grimaldi


Ecco un altra figura sassarese, forse da molti oggi dimenticato e dai più giovani, forse, mai sentito nominare.



 

FIAMMIFERO: era molto popolare in tutti i rioni del centro storico sassarese (specialmente nelle zone di San Donato, Sant'Apollinare e San Sisto)..  Era considerato quasi un amico dai sassaresi poichè era molto servizievole  e si adattava ad eseguire anche i più umilianti servizi, l'importante era riuscir a guadagnare qualche lira. Era una delle figure popolari di allora, in quelle zone del  centro, tanto da non  non passare, sicuramente,  inosservato e lo dimostra il fatto che anche Antonio Saba lo ha  ritenuto meritevole di attenzione  a tal punto da immortalarlo in  un suo disegno sul giornale  la GAITA e nel dedicargli anche un sonetto del quale ne conosciamo l'esistenza ma purtroppo non si riesce ad averne traccia. Un suo ricordo, però, ci è regalato dal bravo poeta  sassarese Cesarino Mastino in virtù della sua poesia in vernacolo  con la quale ne ha  definito un esauriente profilo.

DISEGNO di Antonio Saba          POESIA di Cesarino Mastino


IL GRAMMOFONO




A CURA DI Mario Grimaldi


"IL GRAMMOFONO"

In assenza delle orchestrine o del fisarmonicista "colmava" il pomeriggio di qualche giorno festivo, anche se non soddisfaceva a pieno i ballerini a causa del breve durata di ogni brano musicale che riproduceva. 

Certamente colui che, tra i primi, ne ha posseduto uno ha conseguito un notevole successo giacché, questa macchietta che regalava la musica da ballo, aveva suscitato una grande passione e un irrefrenabile voglia di sano divertimento negli animi dei nostri nonni e delle nostre nonne.
La sera si riunivano, in genere in casa del proprietario del meraviglioso marchingegno per sentire i canti e la musica; i vecchi e sopratutto i bambini, evidentemente molto incuriositi parevano scrutare ogni angolo della macchinetta per tentare. orse, di capire dove accidenti era nascosto l'omino che suonava e cantava.
L'orgoglioso possessore era indaffarato per fermare e avviare il piatto su cui operava continuamente i dischi. Sollevava con disarmante disinvoltura il pickup per sostituire le puntine, lo riabbassava dimorandolo con sicurezza sull'inizio del solco, stando, nel contempo però, ben vigile affinché nessuno si avvicinasse più di tanto a quella"miracolosa invenzione.
Miracolosa sopratutto per i giovanotti poiché quando suonava quel valzer galeotto avevano la irrinunciabile e felice occasione di poter cingere la vita, più che in qualsiasi altra occasione, della ragazza da corteggiare avvicinandosi in maniera, per allora, in altre circostanze disdicevole, più del normale.




sabato 25 ottobre 2014

Vita da Studenti di allora.


A CURA DI Mario Grimaldi


Ripassare la storia , non molto remota, di noi ragazzi di allora : Non battaglie, non intrighi politici, per quanto ci riguardava, ma solo ricordi di giochi, di amorazzi. 

Erano i tempi della nostra avanzata adolescenza, quando quelli erano i problemi più importanti per noi. Sassari, in tal senso ci offriva tante chances. 



"I biliardi, per noi ragazzi, erano una gran passione: boccette, goriziana, carambola, bazziga i giochi preferiti con stecca o senza. Per molti di noi già a quella età, poco più che adolescenziale era un gradevole passatempo giocare, forse un virtuosismo trasmessoci per via ereditaria coi cromosomi nel DNA...
Tutti ci affidavamo ad un maestro che ci raccontava di filotti, di punti messi con magistrale precisione di sponde realizzate con perfezione algebrica. 
Vi erano le strade dei biliardi e dei caffè e li al centro P.zza D'Italia percorsa e levigata nelle interminabili passeggiate su e in giù, da un lato e dall'altro, da soli o in dolce compagnia, in due o in dieci attenti, curiosi e avidi di sguardi sfrontati o furtivi, di risposte immaginarie in attesa di inevitabili silenzi: quando stremati da tutto quel deambulare , a volte improduttivo, cercavamo il meraviglioso diversivo del biliardo ed ecco che invadevamo i locali (non mancavano certamente) all'assalto di un tavolo e dopo aver chiesto il costo del "GRILLO" ci destreggiavamo in interminabili partite in singol od in coppia e ,se il portafogli lo permetteva, saltuariamente ci concedevamo anche il lusso di scommettere qualche lira".




venerdì 24 ottobre 2014

"L'ULTIMA REGINA DI TORRES"


A CURA DI Antonietta Uras



"L'ULTIMA REGINA DI TORRES " - 
(Armando Curcio Editore)


Nata intorno al mille come villaggio, chiamato Jordi de Sassaro, quando gli abitanti dell'antica Thurris, stanchi delle frequenti incursioni piratesche, si erano rifugiati nell'entroterra,Thathari si era via via accresciuta, fino a divenire la grande Civitas Turritana. Alla sua veloce espansione contribuì l'afflusso di popolazioni dalle limitrofe terre della Romanja, dalla Nurra e dal regno di Gallura, favorito dal proliferare di scambi commerciali sia con la vicina Corsica che con le Repubbliche Marinare di Genova e Pisa.
La ormai popolosa città, divenuta sede giudicale, nonché arcivescovile, si attestò quindi come capitale del Capo di Sopra, in contrapposizione a Kalaris, capoluogo del Capo di Sotto dell'isola Sarda.
Sorto fra dolci colline calcaree e vallate feconde di acque sorgive, rivestite da fitte selve, l'abitato si snodava attraverso un dedalo di strette viuzze, simili alle calli veneziane, che serpeggiavano intorno al nucleo centrale, costituito dalla chiesa parrocchiale, aprendosi in piccole, raccolte corti. Le casupole erano addossate le une alle altre, spesso sorrette da piccole arcate.
Il repentino accrescersi dell'agglomerato urbano dettò l'esigenza di racchiuderne i confini entro una cerchia di mura custodite, che forniva sufficienti garanzie di sicurezza ai ricchi mercanti e agli artigiani, in gran parte Pisani e Genovesi, che vi si erano insediati stabilmente.
Le mura erano intervallate da trentasei torri, costruite in maniera accurata, con mattoni ben squadrati e malta di buona qualità, per ovviare alla fragilità del materiale disponibile, cioè il tufo, pietra assai friabile. Le torri si elevavano per tre livelli, più una terrazza soprastante, protetta da parapetti, intervallati da strette feritoie e merlature squadrate.
La città era custodita dalla “Scolca”, un manipolo di guardie armate. Tutti i cittadini, dai sedici ai sessanta anni, potevano farne parte a turno, dopo aver prestato un solenne giuramento. Alla presenza degli Anziani, o Maggiori di Quartiere, giuravano di “ far la Guardia delle Mura, in buona fede, senza frode, senza guardare a odio, amore o guadagno alcuno, secundu sa usanza antiqua”.
Le Porte si aprivano all'alba e venivano chiuse all'Avemaria. Le chiavi venivano affidate, a turno, ad una famiglia di Thatharesi, che doveva essere residente nella città da almeno tre generazioni.
(Nota: tale requisito diede origine all'appellativo “Sassaresu in chiabi”, letteralmente “Sassarese in chiave”, per indicare un sassarese verace.) Per la manutenzione delle mura, i cittadini erano tenuti a versare una tassa annuale. Gli stranieri potevano accedere alla Civitas soltanto dopo aver pagato un pedaggio.
I confini della città, all'epoca ancora in parte circoscritta da alte palizzate in legno, erano delimitati, a nordest dal Fosso della Noce, conca ricoperta da una folta boscaglia;
da nord fino a ovest, la terra digradava verso il mare, attraverso la Piana della Nurra, congiungendosi con il mare dell'Alghiera, con la Marina di Platamona, il porto e la città abbandonata di Thurris, fino all'estremo nord con la penisola dell'Asinara, così chiamata per la presenza di piccoli asinelli bianchi;
a sud est il confine naturale era rappresentato dai rilievi Logudoresi e ad ovest dal Rio Mannu “di Sopra”, (esistono diversi fiumi in Sardegna con la stessa denominazione), che attraversando la Nurra, tracciava i limiti fra la Nurra Vicina, a levante e la Nurra Lontana, a ponente.
La fertile Nurra Vicina, era ricca di fitte boscaglie, tant'e' che numerosi dei suoi alberi secolari vennero impiegati per la costruzione delle altissime capriate lignee nella basilica di San Gavino, a Thurris.
Le selve erano intervallate da piccoli villaggi e coltivazioni di ulivi, viti, cereali e verzure varie.
La Nurra lontana, ben più estesa e quasi disabitata, era terra di ampi pascoli, costellati dai Cuiles dei pastori.
A ponente della città si trovava una pianura boscosa, delimitata da una corona di colli, il più elevato dei quali era il Monte Oro

Adelasia, con la sua scorta di armigeri e un modesto seguito, giunse alla città da levante, discendendo uno scosceso sentiero sul crinale del Monte Rosello, chiamato per tale ragione “Scala Mala”, che sbucava nella verde vallata del Rosello.
Presso una sorgente l'acqua scrosciava gorgogliante da diverse fonti, dove sostavano numerosi asinelli, sul cui dorso gli acquaioli appendevano, in apposite tasche delle capienti bisacce, le brocche colme che avrebbero poi venduto di casa in casa. Giocosi fanciulli, accigliati servi e vocianti popolane, assiepati in chiassose, disordinate file, attendevano il proprio turno per approvvigionarsi delle quotidiane scorte idriche. Le lavandaie, dalle mani gonfie e livide, tuffavano i panni nei vasconi di pietra, li torcevano e li sbattevano, prima di ammucchiarli sulle ceste, parlando, ridendo o altercando incessantemente fra loro.
Il corteo si inerpicò nel viottolo che risaliva la valle, superò la Porta Gurusèle, costeggiata da un fossato, oltrepassò uno slargo, ingombro di carri colmi di mercanzie, per inboccare la Isthrinta di Ruseddu, una lunga e stretta via che confluiva nella Ruda de Codina. Poco distante era ubicato il palazzo reale. Attigua ad esso sorgeva la bella chiesa romanica di Santa Caterina ( nota: edifici oggi inesistenti.)
Al suono del tamburo, preceduto dal gonfalone di Torres, la gente si fermava, facendo ala spontaneamente, per osservare il corteo con lunghe occhiate curiose, che lungi dal manifestare deferenza, palesavano perfino una certa sfrontatezza.
La trafficata strada maestra, scavata nella rocca (codina) alla quale doveva il suo nome, era molto ampia e fiancheggiata da torri, maestosi palazzi ed eleganti loggiati. Sotto di essi i mercanti, in massima parte Pisani e Genovesi, ma anche Corsi e Provenzali, esponevano le loro preziose merci. Nobildonne, servi e nullafacenti si affollavano intorno ai banchi, in un baillame di chiasso e colori, come in tutti i mercati...

giovedì 23 ottobre 2014

STORIA: ECONOMIA NELL'AMBITO SASSARESE.









STORIA DELL'ECONOMIA NELL'AMBITO DELLA COLTURA AGRARIA NEL TERRITORIO SASSARESE. 

"In risposta alle pressioni e nel quadro della riforma agraria in campo nazionale, nel 1951 fu creato in Sardegna un Ente di Trasformazione fondiaria e agraria (ETFAS) - 
IL compito  era quello di favorire, almeno in alcune zone dell'isola, un rinnovamento dei modi di produzione nelle campagne: (il territorio SASSARESE, fu particolarmente favorito da questa iniziativa). Furono assegnate porzioni di terra ai coltivatori, furono forniti mezzi tecnici di assistenza, furono costruite moltissime strade di penetrazione agraria e abitazioni confortevoli per gli assegnatari e le loro, più delle volte numerose, famiglie.
L'ETFAS, che operò per circa dieci anni, riuscì a trasformare, almeno parzialmente, la fisionomia del paesaggio agrario in diverse aree del territorio sassarese, che furono costellate di dimore contadine e di poderi.
A parte la valorizzazione di queste aree che divennero (dopo le bonifiche) produttive, l'opera di questo organismo va anche valutata per gli effetti positivi che ha prodotto nei tempi lunghi, e cioé per l'opera di educazione tecnica esercitata sulla popolazione agraria che veniva così avviata verso l'uso di nuove tecniche agricole e di nuovi strumenti di lavoro e aiutandole nella scelta di destinazioni più adeguate dei terreni e coltivazioni più redditizie".
(Ringraziamo Mario e Antonio per aver contribuito, con le loro foto, alla realizzazione di questo post dedicato con breve cenno storico alla storia dell'agricoltura dei nostri territori).

lunedì 20 ottobre 2014

IL PESCIVENDOLO DEL CIVICO MERCATO.



A CURA DI: Mario Grimaldi

Quando si entrava per quelle porte all'interno del mercato era come se si entrasse in pieno nel mezzo di quella atmosfera folcloristica che ne caratterizzava tutto l'ambiente. Ma sicuramente il settore più "variopinto" era quello dove si svolgeva il commercio del pesce. Chi è sassarese e non è proprio più un ragazzino, ricorderà certamente cosa tutto si vedeva e si sentiva. Per farla breve,, per esempio se entravi non certo di buon umore, dopo anche una breve visita tra i banconi, l'ilarità che erano capaci di suscitare, con le loro tecniche di vendita condite dalle loro battute, "li pisciaggiori" - così definiti dal nostro dialetto - era tale da trasformare un umore nero in un'altro decisamente più roseo. 
Questo giovane (di allora, ma ancora adesso non molto anziano), intento nella vendita (lavorava, come si diceva : sotto principale) si chiama Tonino e ancora è il mio pescivendolo di fiducia (naturalmente titolare dell'esercizio) che ancora, nel nuovo asettico mercato continua la sua attività. Naturalmente i tempi son cambiati dal momento dello scatto di questa foto gentilmente concessami dalla stessa persona ritratta.


"RICORDO DI FAMIGLIA" - Poesia e foto -










 A CURA DI:  Mario Grimaldi


Frugando tra i ricordi famiglia, tra le pagine di un vecchio libro della mia nonna paterna, ho avuto il piacere di recuperare questa vecchia foto(datata
6 maggio 1932 che ritrae mio padre - di antico vestito- all'età di 7 anni.
Al di là della sorpresa per aver piacevolmente scoperto come si vestivano, proprio i nostri genitori, quando erano bambini, l'aver rinvenuto, sul retro di quel che rimaneva della foto, quelle poche strofe manoscritte, e riportate nel seguente post è stato un altro piacere. Non ho assolutamente capito da quale estro poetico esse siano scaturite, ma la loro profonda descrizione di quella che è "L'antitesi struggente tra la gioia e il dolore" mi hanno profondamente colpito!
Allora mi sono chiesto: possibile che vi siano delle persone capaci di esternare i loro pensieri in termini così accattivanti e, che noi, non se ne conosca la loro identità?
Non vuole essere assolutamente un quiz (cosa che come risaputo io aborrisco), ma una richiesta di aiuto da parte di chiunque abbia avuto la possibilità di aver già potuto leggere quanto a me interessa e quindi possa soddisfare questa mia curiosità. Scoprire che si tratta di un poeta, anche se non molto famoso, sarebbe molto coinvolgente e mi inciterebbe ad iniziare una ricerca storico-poetica per scoprirne altre, eventuali, sue manifestazioni artistiche....




Sassari - Turris Lybisonis - cenni storici.




A CURA DI: Ernesto Dasole


I romani fondarono Porto Torres  col nome di Turris Lybisonis, probabilmente sopra un antico scalo fenicio, e prima del 27 a.C. fu proclamata colonia romana. All'epoca la città aveva una certa importanza commerciale ed era collegata da strade a tutti gli altri centri romani dell'isola e in particolare a "Carales"; il porto la poneva in relazione con altre città costiere del Mediterraneo neo occidentale e del Tirreno. L'abitato era cinto da mura che col trascorrere dei secoli furono potenziate. Durante l'impero la città continuò a mantenere la sua importanza politica e amministrativa e divenne sede di una diocesi cristiana; con le invasioni barbariche la sua importanza diminuì e certamente la sua funzione politica dovette mutare; grazie al porto, tuttavia, conservò una posizione di rilievo. Quando poi in età non determinabile, si formarono i giudicati, fu inizialmente la capitale del Logudoro o di Torres, allo stato attuale da quanto si conosce, non è facile sapere con esattezza per quanto riguarda il processo che spinse, poi i Giudici, a preferire come loro residenza la più sicura Ardara e poi Sassari. Sembra comunque che il porto abbia continuato ad essere attivo, che i mercanti pisani e genovesi vi tenessero i loro fondachi e che nel corso del secolo XVI i Giudici vi abbiano fatto costruire la basilica di San Gavino. E' comunque certo che i Vescovi continuarono a risiedervi fino al secolo tredicesimo. 

Quando anche i Vescovi si trasferirono a Sassari, pur essendo formalmente Porto Torres considerata sede della Diocesi, cominciò inesorabilmente la sua decadenza. Dopo la conquista aragonese, dell'antica città rimanevano poche case attorno alla basilica e si svolgeva una certa attività commerciale in quello che restava dell'antico porto, che i nuovi arrivati, cercavano di valorizzare e rianimare.




domenica 19 ottobre 2014

"IL CONTE DI MORIANA"








A cura di :   Sassari storia




Questo ritratto (si tratta di olio su tela- di proprietà del Convitto Nazionale Canopoleno) ad opera di un ignoto pittore, ha immortalato Placido Benedetto di Savoia Conte di Moriana. Nacque a Torino nel 1776(morto nel 1802) era il dodicesimo nato da Vittorio Amedeo III; fratello di Carlo Emanuele IV, di Vittorio Emanuele I e di Carlo Felice: Era giunto, nel 1779, nella nostra isola al seguto della Famiglia Reale: In Sardegna fu  fu nominato Commissario Generale della Cavalleria Miliziana e successivamente Governatore di SASSARI dove promosse  le arti assegnando pensioni dalla propria cassa per chi, sardo, si recasse  a studiare nel continente; regalò anche moltissimi libri all'Università.
Il 29 ottobre del 1802, morì improvvisamente , dopo aver presenziato alla processione di San Gavino tenuta dalla Confraternita dell'Orazione e Morte di San Giacomo nel Duomo sassarese. Fu sepellito proprio in San Nicola dove, nel 1807, Carlo Felice gli fece erigere un monumento dallo scultore F. Festa.




giovedì 16 ottobre 2014

Li gobburi- Si dice che.... "Mastru Vizzenti la jatta."

Mastru- Vizzenti








A CURA DI
Sassari Storia  - di Gildo Motroni
( Materiale vario reperito nel web)




Senza Titolo


Gobbula sassaresa senza nisciuna pratesa.
Parchi rimànghiani rimusi, comm'ha dittu Caggafusi,
in l'archibiu di la memoria e pàssiani poi a l'istoria
chist'immusgi sassaresi.

Antoni senza pratesi
e Maria figga longa
istazzini affaccu a Ponga,
Giuanni fatto a Luria
e Agniru Ziruria,
Franzisca cosci di pratta
cun mastru Vizzenti la jatta.
Filippu la gabincella
cun Gesuina la bella,
Antoni lu tribidaggiu
Giuanni lu faulaggiu
l'infirmera malucoro
genti di gran decoro:
la canonica e mingrinu
grattacorru e vaporinu
magnamadrigga e cuvaccu
marrangiu e Giogli l'istraccu
lu vignatteri e culombu
mascariglia e curu di piombu
barracoccu e buttazzu succiadiddu e cannavazzu,
e Preddu pebaru in curu. Di Bèrturu muru-muru
d'Antoni monda la casa e mastru Tòmasa cimasa
no vi pigliu troppu gustu; di la mastru Fabarrustu
d'Antoni vitello cromo di Giulio sézzidi in domo
già è megliu arrasgiunà. Franziscu lassal'andà
sighitinni Zuniari, minni-minni ziu Miari,
pucci pucci Anton'Andria, Firumena mangatia,
no sia pesu funtumalla,
Preddareddu ascia di balla
Antoneddu buttiglioni,
Viglianu bruscia paglioni
so in bona cumpagnia.
Giuannagniru ninnia,
Ispiranza marrà-marrà,
ch'era bona a imbiriggà,
e Larenzu ch'era fraddi,
chiddi chi so numinaddi
chiddi chi funtumaremu;
e giaghi in gioggu semu
no s'offendia cassarrodau
nè una passa di cannau,
nè Agniru chicchirichi.
Mariedda in dugna di,
Antoni coscadinmesu,
Piero dittu lu franzesu,
Quazzedda e Magnà francu,
Brucchitta e Occibiancu,
perra e pittorri d'azzaggiu, imbucciaddu e lu crabbaggiu,
Luigi di lu turroni, Micheli carracantoni,
lu gènnaru Occi di zecca Antoni chi no si pecca
e Zuniari tinteri; Duminiggu fura-misteri,
Giuanninu la muninca lu coilbu cun la sussinca,
e m'arregiu pa' pasà. E non vogliu funtumà
l'immusgi fora di segnu, chi aggiu un poggu di ritegnu
e soggu ben'aducaddu: Giuanni curi isfasciaddu
Brottareddu truddioni Caggagesgi e sirioni
caggafaba e buzzarruna, piscialettu e caggapruna
cagliancuru e caggazzua Mariantonia la sua
caggajatti e crabbioni curu di prata e piantoni
Ignaziu la punta secca mastru Franziscu la stecca
genti di basciamanu, che Giannicu Fulanu;
sa baiocca e Concettina, e chiddu di la giaddina;
magnamosca e magnamondu Pierino curi tondu,
Zuniari lu cinesu, Antoni carrabattesu,
bagassedda cun pippetta zinzura e maragazzetta,
mammagnogna cun bragheri Babbagnesa e cagga banderi
e finzamenta vi pongu cabbimannu e caggallongu.
No ni li venghia la risa si l'ammentu a mammaisa,
caggacittu e caggabiggi, mastr'Angirinu li tiggi:
nè mi soggu immintiggaddu di Giuseppinu pranciaddu,
di mastr'Antoni paggiolu, di Grazietta cugnolu,
d'Antoni Luisi la giagga; nè di lu mastru cimagga.
L'immusgiu sempri si poni a sigunda li passoni:
ma noi non ni punimmu, li c'hani postu li dimmu,
dimmu l'immusgi a prisenti
ca si pecca mali si senti.
Mastru Larenzu la frea
cappittanu e zimminea,
chiddi di fraddi muschitta,
e Franziscu la mizzitta,
cumpagnu di la mizzina
parenti a la signorina
a Giuseppi baccaglià
a Brottu torral'a fà.
S'ammenta di pebarinu
e di curu bianchisginu?
e d'Antoni mezza perra
e Micheli serra-serra?
lassemmu lu santu cristu
e Càraru troppu vistu,
pigliemmu di li cabboccia
e tutti fraddi carroccia,
anchi di legna e buccuccia
e anchi di cannuccia;
so dibintaddi signori
pidocciu cun buffadori
mastru Chiriggu ciggioni
e Antoni rabbazzoni.
Brottu lu brazzi mozzu
è cun Crallinu lu pozzu,
Franzischinu santu sistu
cun l'ebba cegga s'è vistu,
Antoneddu l'ariggaglia
Firippu l'isfrappa e caglia,
e cagga mezzurrià.
Pantareu cassarà
mesanotte e meraredda
fiagghina minoredda
cumpari a la carrozzella,
Brottu la caldarella,
e si a vostè li gusta
l'ammintemmu s'arriusta.
Marranu ca non immusgia,
o è curruddu o puppusgia.
E semmu giunti a vostè
siguri chi zi tratta bè:
in chisti tempi suabi
megliu una cotta di fabi
che zentu iscudi in dinà:
noi no vulemu intrà
in li tempi chi vibimmu:
lu zappadori l'istimmu
duizentu la zurradda,
e vi la doggu prubadda:
carrattoneri no v'è frenu
zentu volti di lu trenu:
isculteddi chistu mossu
a zentu franchi lu cossu
sia da undi si sia;
già venerà la scansia
di lu trabagliu giastimaddu
e torrarà isviaddu
in la posta ragattiendi
oppuru sia caschendi
commu una volta istesi.
Ni caba puri l'ispesi
lu pobaru cazzulaggiu:
milli e ottu pa un paggiu
si so bottareddi minori;
e si so botti signori
dui milia senza fasta.
E si pa' vostè no basta
vi so li di l'accugliera,
chi da manzanu a sera
tre muncigli, è cosa vista;
chissa era moda fascista;
«per il nazional decoro
otto ore di lavoro»";
cumpresu lu camminà
e cumpresu l'ispuglià:
cumpresa poi la ismuzzera,
cumpresa poi la pisciera,
cumpresa la ciarrera
cumpresa la gustera,
e a lu megliu trabaglià
a vistissi pa' turrà.
Si li femmu l'invintariu
di tuttu cantu l'orariu
so quattr'ori di trabagliu.
Altru che pani e agliu
o ziodda e pani asciuttu!
Firumena mi n'affuttu
cun una sola zurradda
s'è tutta arricciuradda
s'ha fattu la permanenti,
e abà comm'e nienti
in li labbri lu russettu:
e Giuannina zarrettu
senza botti e tirintina
bramma la cappellina.
E undi aggiu lassaddu?
Paglietta l'aggiu assintaddu
cun Zuniari lu moncuru,
e Franzischinu mistròncuru
cun Antoni la babbedda,
Giuanni la femminedda,
e Andria senza corri;
Pulinari caggagiorri
lu punimmu cun trimpeddu,
ch'ha auddu, carareddu,
vintinobi a mazzinadda;
non s'affendia la caggadda,
chi dugna di mi l'ammentu,
cun Antoni tocc'a drentu
e Sarapiu trappadè.
Si n'è istuffu vostè
altrettantu semmu noi:
Luiginu occi di boi
Vittoriu lu coddi tostu
Franziscu l'intarra mostu
Sannia e perra di saccu
la pesta e Peppi lu maccu
e Antoni lu pabboi,
occidipera e coccoi,
so genti di poggu alenu.
Ignò Giuanni vilenu
lu chi istazzi in la strinta
s'affarra cun mezza pinta
e cun Preddu curi grogu.
Aggiu finiddu l'isfogu:
ma no vogliu ismintiggà
Bainzu futtarallà
nemmancu fraddi murrittu
in chistu pobaru iscrittu.
Finzamenta a tubbu-tubbu
cun tutti canti lu trubbu,
e Giuanninu salammi
m'ammenta ch'aggiu la fammi
in chisti tempi di gherra,
chi finza la mela di terra
è a vinti franchi lu chiru,
e si mi figgiuru in giru
è cosa da no cridi.
E comm'andemmu a fini
sighendi la «borsa nera»?
Angirinu di la liggera
vendi punzi a quattrumiria,
un vistiri ondizimiria,
sigaretti una ottu franchi
e li rucchetti bianchi
o nieddi, a quattruzentu...
Ma abà chi mi n'ammentu
intremmu in lu pruppriattari
chi pussedini alibari.
E ca li poni a lu passu?
Nè lu boia nè l'ammassu.
L'ozzu si l'hani cuaddu
e pussedini un siddaddu,
un fiascu zentu scudi.
Cancu li vegghia nudi
chissi chi so istruzzini
e li pòssiani punini
in un bagnu di melassa!
Cussi la genti si lassa
d'ozzu mancu un gutteggiu
pa' no abè fammi, ch'è peggiu
milinzani cotti arrustu.
Cancu pròbiani lu gustu,
senza bramalli mali,
di la faba a ribisali
tessaradda a zentu grammi!
Chissi no n'hani fammi,
chissi fammi no n'hani.
Eddi cun l'usturani
chi li dinà l'hani fatti,
e un chilu di patatti,
trenta franchi si lu voi,
e no si tràttia poi,
s'hani un poggu di cunserva!
Finza li di la subberva
dui e zinquanta tre onzi.
Abà si so tutti acconzi
li ch'erani fammiggosi;
finza li cimaggosi
hani lu contu in la Banca,
ca s'ha pigliaddu una tanca
ca la casa di lu Conti,
ca frabbiggheggia in lu Monti,
ca si ciamba la mubbiglia
e ca la sedda o la briglia.
E noi abemmu lu pani
chi no ni magna lu cani
d'orzu v'è puru paglia,
lu pobaru magna e si caglia.
Mazziddaggi e iscugliadori
so dibintaddi signori:
ma no è cosa sigura
s'è lu trabagliu o la fura.
Lassemmu li murinaggi
ch'erani caggi caggi:
finza li più urdinari
so giunti già milionari.
Lu panatteri m'ammentu
ch'era già in fallimentu:
accùa a ottanta franchi,
miga panini bianchi,
quindizi franchi un paninu
in la mimmura a vizinu.
E abà ch'è giuntu tecciu
è cumparendi oru vecciu.
E a ca lu cuccu canta
piglia porcu a zent'ottanta:
e a ca canta di cuntinu
a ottanta bizzi vinu,
no imposta s'è abbaddu.
Dàlli, vi soggu turraddu
a isci fora di l'istegliu,
propriu cand'era a lu megliu!
Rosinedda pisciancorru
cun mastr'Agniru l'afforru,
Gosiminu pinna trudda
Antoni caglia a la mudda
mastru Filippu buscicca
Anton'Andria la ficca
infini bregghedebrè
Duminiggu lu punzu e Sicrè,
la balanza e carrasciali,
marrangoni e uppuari,
Sau sasaia e Pinna ippustinu,
Duminiggu lu baddinu;
Salvadori la istumbadda
e Buggaddera isfasciadda;
Bizzarria e lu zicchirriu
d'Antoni cortu a un chirriu
E si la vo', si la piglia
Cabu di Barandiglia,
e pogareddu, e lu zozzu,
e Magnamorti, lu cozzu,
chi no abendi altra cosa,
s'appoggiani a Valli ombrosa;
lu cuccuau, e Nasoni
cun basgia a babbu si poni;
Ispaccia pogu, a pianu,
cun zeccaredda e Frisgianu;
cabu di masciu e l'astori
cun brinca sardina e Saòri!
Mare' chi finiddu aggiu
zischendi a peddi d'azzaggiu,
no ti coschi cun Bellezza
mezzudi cun la puddezza
Rimundiccu la pobara e Lampioni
Guasina e Brinca baschoni,
una cosa ch'à ispacciu
Minciaredda, e istuppacciu,
un'altra ch'è più cara
chi è Cabu di Sandàra,
Cantendi a 'Gigin, gigotta!"
aggiugnimu a melagotta.
Si si ni servi vosté
punimmu a cazzu di re!
L'altri mi l'aggiu lassaddi,
o apposta o immintiggaddi,
cun mastr'Antoni lu remmu.
E abà ni l'accabbemmu
parchi lu giru è longu:
in li so mani mi pongu,
cun dumandalli iscusa.
Si v'ha carigga rimusa
nozi bona o menduritta,
o altra cosa licchitta
pa' lu tempu ch'è currendi
semmu lu saccu apparendi,
istemmu a lu chi zi fazzi,
lu chi zi dazzi zi dazzi;
e cun lu saccu, un cugnolu
s'à una cotta di fasgiolu:
mi' chi mi cagliu muddu,
e vi lu pregu in saruddu.
Cussi fini la canzona
bona notti la padrona.
Gildo Motroni

mercoledì 15 ottobre 2014

"RELACION VERDADERA".



A CURA DI: Giovanna Sale



La relaciòn verdadera scritta dal sassarese padre Antonio Sortes (cappuccino), e stampata, nel 1649, dalla tipografia locale di Margherita Scano di Castelvì , illustra le manifestazioni della fede da parte dei sassaresi che si sono verificate nella città nell'anno 1648, allorché tutto il settentrione dell'isola venne colpito da una deleteria siccità. Allora, per ottenere la pioggia e di conseguenza l'indispensabile raccolto dalla terra, vennero posti in essere da tutti i cittadini Sassaresi (ricchi, poveri, nobili, borghesi, religiosi e laici) dei riti propiziatori sollevati intorno a quei simboli della fede più amati da quella stessa popolazione.
Venne, in quell'occasione, ravvivata la collettiva affezione per il Cristo di Sant'Apolinare , ma anche altre devozioni.



domenica 12 ottobre 2014

STORIA A PICCOLE DOSI: VIABILITA' - LA STRADA DI CARLO FELICE.






A CURA DI Mario Grimaldi



"La strada del RE"
Era il 6 aprile del 1822: a Cagliari il viceré Marchese di Yenne, colloca in Piazza San Carlo la prima pietra miliare della nuova strada che, seguendo approssimativamente l'antico tracciato romano della Karalis-Turris, unirà il capoluogo a Sassari e Porto Torres, dopo un percorso complessivo di 235 Km.
L'anno successivo iniziano i lavori, nei quali vengono impiegate numerose maestranze sarde, ed hanno termine 6 anni dopo. Se consideriamo i mezzi a loro disposizione, dobbiamo proprio ammettere che i lavoratori sardi e i tecnici piemontesi non hanno certo battuto la fiacca!
I Cagliaritani, quasi increduli per tanta sollecita  < generosità > dimostrano la loro riconoscenza ribattezzando YENNE la Piazza San Carlo; quindi danno il nome di Carlo Felice non solo al largo che unisce la Piazza alla Via Roma, ma anche alla nuova arteria, e proprio al Km. 0 innalzano una statua al re in sembianze di antico Romano; Carlo Felice indica col braccio destro il percorso della <sua> strada, ma lo indica in senso ... del tutto inverso alla giusta direzione.
E' fuori dubbio che la nostra isola, e quindi anche tutto il territorio SASSARESE, si giovò molto della nuova arteria, e che Carlo Felice, dal tempo della dominazione romana, fu il primo ad agire concretamente per migliorare (se non addirittura per creare ) la rete viaria della Sardegna: Si dice che, per l'esecuzione, avesse stanziato il 10% dell'appannaggio che gli spettava come viceré.....

Storia e Geografia - IN MOLTI CASI BINOMIO PERFETTO -

A cura di; Capitano Musica







Geografia e storia del territorio.


Con la collaborazione di Mario Grimaldi, esaminiamo un breve cenno storico geografico sui nostri territori. E' sicuramente utile trattarlo, d'altro canto la nostra città e la sua lunga storia sono parte integrante della stessa storia della Geografia e storia del territorio.
La nostra Isola è una delle terre più antiche che, con la Valle d'Aosta, il Trentino - Alto Adige e la Liguria, tutte insieme furono tra le prime regioni ad emergere dalla profondità delle acque (per quanto ci riguarda la Nurra e il Sulcis sono tra le più vecchie d'Europa, e già sovrastavano, come piccole isole, il mare che ancora sommergeva il resto della penisola italiana.
Sembrerebbe una contraddizione, dunque, che l'uomo popolò per ultima i nostri territori pur essendo i più vecchi d'Europa, è necessario perciò cercare di capire il perchè di questa apparente contraddizione: 

"COME MAI UNA TERRA COSI' ANTICA FU L'ULTIMA AD ESSERE ABITATA DALL'UOMO".
Come spesso accade studiando la storia, anche in questo caso sarà la geografia a rispondere al quesito: quasi sempre, infatti, le vicende dei popoli vengono condizionate dall'ambiente naturale in cui essi vivono. Se si osserva una cartina dei paesi mediterranei si nota immediatamente che la Sardegna è la terra più isolata dal continente: la distanza che la separa dalla terraferma, infatti, non è mai inferiore ai 190 Km (Capo Ferro - Monte Argentario), si può immaginare allora quale immenso ostacolo, una distanza del genere, potesse costituire per gli uomini primitivi, che ricavavano le loro imbarcazioni scavando faticosamente i tronchi degli alberi! ed ecco allora una prima risposta. Se, poi si esamina la carta fisica della Sardegna, e si pone attenzione alla sua configurazione orizzontale (le coste): per almeno i tre quarti dei loro 1897 Km di sviluppo, dette coste si presentano compatte, alte e rocciose e comunque poco accoglienti e prive di approdi naturali; solo a sud e a sud-ovest (da Cagliari e fino a Bosa, è possibile ricavare dei porti.
Secondo gli esperti, a questo punto, la conclusione è semplice:



L'UOMO E' GIUNTO TARDI NELL'ISOLA ANCHE PERCHE' IL SUO LITORALE NON GLI OFFRIVA SICURI PUNTI DI APPRODO. INOLTRE UNA TERRA DIFFICILE DA GUADAGNARE NON FAVORISCE SICURAMENTE LA COLONIZZAZIONE E QUINDI NON APPARE IMPORTANTE E DI CONSEGUENZA NON DESTA INTERESSE DAL PUNTO DI VISTA ECONOMICO E COMMERCIALE; AL MASSIMO POTREBBE ESSERE SFRUTTATA COME BASE MILITARE.




Grotta di Campu Lontani (SS) Questa caverna modellata dagli agenti atmosferici, ci racconta la lunga storia dell'ambiente isolano.