giovedì 4 settembre 2014

TORRONAI.


A CURA DI: Mario Grimaldi
Non vi era Festa a Sassari che non avesse il suo bravo torronaio, vicino al quale, se non li vendeva egli stesso, prendeva sistematicamente posto il venditore o la venditrice di semi di zucca, bombolotti, caramelle a pezzi, noccioline, l’immancabile liquirizia ed altre piacevolezze graditissime al palato dei piccoli e non solo. Poteva mancare qualunque altro tipo di commercio, ma quello del torrone mai!La produzione di questa prelibatezza non era certamente proporzionata tra la fatica e il guadagno ed è comprensibile che questi commercianti di torrone, facevano affidamento sulla mole numerica di clienti e quindi, instancabilmente, non mancavano mai all’appuntamento festivo nell’ambito del quale potevano contare di un gran numero di acquirenti.Lo “stand” del torronaio nella zona dei festeggiamenti era molto... semplice: un rustico bancone con un “carasciu”(cassetto) incastrato sotto -, ricoperto da una tovaglia bianca di carta, a volte protetto, da una “infrascata” per proteggere la merce e il proprietario dal sole del giorno e da “lu lintori”(umido) della sera... con l’avanzare del progresso, le frasche furono sostituite dagli ombrelloni. Sul bancone, in bella mostra era sistemato il bianco torrone, fatto di mandorle e miele di produzione locale. Tagliato a pezzi di diversa grossezza, e dietro il torronaio, veloce nel servire i compratori, con il tipico grembiule bianco infilato al collo e legato con due fettucce dietro la schiena. (generalmente il grembiule, sul davanti e all’altezza della pancia aveva, una a destra e l’altra a sinistra, due capaci tasche: una per le monete di grosso taglio... e l’altra per lo spicciolame. In mano teneva sempre l’affilatissimo taglione (coltellone) per tagliare dalle grosse pezzature le razioni di torrone richieste dai clienti: “li baggiani” (giovanotti celibi) per invitarlo alle belle maschiette, i più attempati per portarlo ai figli, alle mogli e ai nonni a casa: altri ancora per gustarlo sul posto senza perder tempo, mentre a li caggaiori (ragazzini un pò vispi) era concesso, ogni tanto di raccogliere le briciole che, a furia di tagliare il dolce, si accumulavano sul bancone e che, di volta in volta, venivano spinte col coltellone dal torronaio verso un angolo del piano di appoggio. Mi par di ricordare anche che , all’imbrunire accendevano il loro lume alimentato dal petrolio che non dispensava i passanti dal tipico odore acre che produceva la combustione necessaria per far luce sul bancone. Per motivi di spazio non mi pare opportuno riferire qui di seguito quale fossero le procedure per la produzione del torrone e le varie ricette a seconda del tipo e della qualità. ma una cosa è certa, allora il torrone si faceva in casa, a forza di braccia, con un dispendio di energie invero notevole e impensabile per la resistenza che opponeva la densa massa di miele al movimento del bastone che mescolava tutti gli ingredienti all’interno del capiente paiolo , sostenuto da un tripiede posto sopra un bel fuoco di legna.. A dirlo così, sembra fosse un operazione, se pur faticosa,, facile: tutt’altro.. in effetti occorreva maestria e destrezza oltre che per dosare gli ingredienti, anche per regolare i movimenti col bastone, movimenti tesi a favorire la giusta amalgama; occorreva capire quando era il momento di alimentare il fuoco o abbassarlo per impedire l’adesione della crema al paiolo e tanti altri accorgimenti che non potevano esser eseguiti da improvvisati pasticcieri. Posso concludere scrivendo che, oggi di tanta fatica e del “povero” caro torronaio di una volta non resta che un tenero, nostalgico e soprattutto DOLCE ricordo.