martedì 28 gennaio 2014

SUPRAMONTE E BANDITISMO

A cura di Antonio Carta 

Pubblicato da 

Da una memoria di Antonio Carta in riferimento alla caccia dei latitanti Graziano Mesina e Miguel Atienza. (Rif. al post "un bricciolo di triste storia Sassarese" - di Mario Grimaldi).

Correva l’anno 1967, ed io svolgevo servizio nella polizia di stato, presso Genova, oramai da quattro anni; Il 26 giugno a seguito dell’evasione , dal carcere sassarese di S. Sebastiano, di Graziano Mesina in fuga congiunta col legionario Spagnolo Atienza, venni informato del mio imminente trasferimento in Sardegna e precisamente ad Abbasanta a mirata disposizione del Comando provinciale della Questura Nuorese. Alquanto eccitato per la ghiotta occasione che mi si presentava, quella di svolgere l’attività nella mia isola, il 29 giugno mi imbarcai dal porto di Genova, destinazione il porto Turritano dove ad attendermi vi era la mia amata Rosa (successivamente divenuta mia moglie) con la quale potei condividere solo pochi minuti di tranquillità per, poi ripartire da Porto Torres alla volta della nuova sede assegnatami (Abbasanta). Dopo qualche ora ero già a rapporto col comandante della squadriglia alla quale ero stato assegnato. Dopo i l colloquio di pragmatica, subito in armeria, dove mi vennero assegnate le armi speciali (pistola “Mascin” e fucile di precisione con cannocchiale “Malingher”. L’avventura continuò con una “barbosa” giornata dedicata alla tattica ed alle istruzioni del caso relativo al servizio di squadriglia, e fino al 2 del mese di luglio quando inizio la vera e propria missione di squadra partendo - al calar della sera - dalla sede in direzione supramonte di Orgosolo alla ricerca dei due latitanti; eravamo a conoscenza che tra loro ed una nostra pattuglia, che ci aveva preceduto, vi era stato un conflitto a fuoco in occasione del quale persero la vita due colleghi (CIAULA E INGRASSIA) ed un terzo fu ritrovato in stato confusionale. Era inevitabile che gli interventi di controllo venissero intensificati, ma l’esito non fu positivo, nessuna traccia della “primula”. Però fu trovato il corpo senza vita dello spagnolo Atienza all’interno di due sacchi (macabra notizia, ma che per onorare la veridicità della storia occorre riferire: al cadavere mancava una parte della faccia).Le voci che circolavano e le sensazioni erano quelle che ad ucciderlo fosse stato proprio Graziano, in conseguenza di quel conflitto al fuoco in occasione del quale persero la vita due poliziotti , e che pare fosse stato proprio ingaggiato dallo spagnolo all’insaputa e contro le indicazioni di Grazianeddu che si sapeva esser contrario ai conflitti a fuoco con le forze dell’ordine. I giorni, i mesi, scorsero velocemente senza aver trovato alcuna traccia di Graziano, fino a quando si costitui ad una pattuglia della “Polizia Stradale” per la quale fu facile compito trarlo in arresto. Un arresto, a dispetto dell’ impegno della nostra squadriglia speciale che aveva lavorato sodo in quel supramonte. Non ne abbiamo la certezza, ma correva voce che offrirono la somma di 100 milioni di lire da destinare alla madre del bandito in cambio della sua “resa”. 



NELLA FOTO A CORNICE DEL POST, IL NOSTRO AMICO ANTONIO CARTA.
Grazie per l'attenzione.

sabato 25 gennaio 2014

Sassaresu Impicca babbu



Sassaresu impicca babbu


   



A cura di Tino Grindi
Il detto che attribuisce ai sassaresi l’epiteto di “Sassaresi impiccababbu “, sarebbe ora che ne sia risolta la storia e l’origine .
Alcuni anni fa quando la Torres giocava col Cagliari, vi era tra le parti, una rivalità di tifoseria alquanto litigiosa, e non bastavano gli aggressivi scontri fra tifosi e si mise ad ingiuriare anche un giornale sportivo umoristico di Cagliari, che si chiamava “la Gaggetta Sarda”, insultando in generale i sassaresi, in senso dispregiativo, con impiccababbu.
A quel punto ho sentito il dovere di scrivere a tale giornale una lettera, che peraltro fu pubblicata, con le scuse della redazione per le frasi ingiuriose prima scritte, nei confronti della comunità sassarese.
Ricordo che il testo recitava: - Sappiate che il termine “impiccababbu” ci è stato attribuito nel Medio Evo, ai tempi dell’Inquisizione, il cui tribunale si trovava all’interno del Castello, purtroppo abbattuto alla fine dell’800 perché era diventato un rudere.
Nel castello operava un Boia che nessuno, per motivi di opportuna rigorosità, non si conosceva il nome né il suo aspetto, neanche gli stessi Giudici che emettevano le sentenze delle condanne a morte. Questo Boia abitava in una piazzuola del centro storico, Largo Quadrato Frasso, che poi prese il nome di “Pattiu di lu diauru”. Usciva al mattino presto per prendere servizio e rientrava la notte tarda, con un mantello che lo avvolgeva interamente per non farsi riconoscere da nessuno. Questo, possiamo chiamarlo, diligente lavoratore, esercitava il suo particolare mestiere, con disciplina e rigorosità, come d'altronde prevedevano le dure sentenze.
Un giorno gli consegnarono un condannato a morte, legato e imbavagliato, per l’esecuzione, la quale avveniva in questi termini: il boia provvedeva a incappucciare il condannato, mettendolo su un carretto e trasportandolo nella Piazza del Duomo dove avvenivano le esecuzioni, dopo recuperava il cadavere e con lo stesso carretto lo trasportava per essere seppellito, o lo consegnava alla Confraternita di Orazione e Morte se il condannato non aveva parenti che lo avessero assistito per la sepoltura.
In quell'occasione, il Boia si accorse che il condannato a morte era il suo figlio unico, che da qualche tempo era scomparso da casa e, mentre lo conduceva al patibolo, parlò con lui dicendole:< Ma cosa hai combinato? Io sono tuo padre, potrei salvarti se mi prometti di rigar dritto per il resto dei tuoi giorni, io ormai sono vecchio e posso sacrificarmi per te; proseguirai la mia attività, intanto nessuno sa chi sono io. Il figlio piangente e pentito abbracciarono il padre, si scambiarono le vesti e il cappuccio e quindi l’esecuzione del padre, senza che nessuno se ne accorgesse. Poi il trasporto per la sepoltura da parte della Confraternita e fine di una storia, che dopo tanti anni, il figlio rese pubblica prima di morire di vecchiaia.
Ecco così riabilitati i sassaresi, nel bene e nel male, con una morale, diversa da quella che era stata dipinta per tanti secoli, con l’appellativo d'impiccababbu, vero come fatto, ma dettato da un sacrificio umano del padre, nei confronti di un figlio scellerato che, allo stesso tempo, il padre ha riabilitato.

Tino Grindi





Sassaresu in ciabi.



Sassaresu in ciabi


La vera storia del “ Sassaresu in ciabi “ è ora che si spieghi che cosa esattamente vuol dire





A cura di Tino Grindi


 .
''Chiaramente, quello di essere sassarese almeno da sette generazioni, detto, usato da tanti anni non corrisponde al vero, ma è nato nel tempo, come uso improprio, per motivi campanilistici nei confronti dei forestieri che venivano ad abitare a Sassari, e quindi i Sassaresi, quelli veri, radicati da tempo nella città, rivendicavano le origini lontane dei loro antenati, per diversificarsi da quelli venuti dall'esterno, da sempre chiamati, “accudiddi”.
I veri “sassaresi in ciabi”, così chiamati, erano dei privilegiati, solitamente ospiti dei governanti della città, che arrivavano a Sassari in visita e poi, fare delle escursioni esterne presso tenute o campagne, quindi il ritorno in città superava l’orario di chiusura delle porte della città, ma per loro, era consentito un rientro assistito a qualunque ora, tramite la guardia incaricata, che apriva la porta principale di Sant'Antonio e riceveva gli ospiti. Simbolicamente perciò è come se avessero le chiavi della città, per poter comodamente entrare a Sassari a piacer loro e peraltro con il: “ benvenuti eccellenze”, a tutte le ore.
Tutto ciò accadeva nel Medio Evo, Sassari essendo città fortificata governata in prosecuzione: dai Pisani, Genovesi, Aragonesi e dagli Spagnoli poi, infine dai Savoia, aveva delle rigide regole per quanto riguardava l’ingresso e l’uscita dalla città, una di queste era l’orario di rientro, entro le ore 20.00.
Una guardia prima di chiudere le porte gridava un solito avvertimento in sassarese: “ ca è drentu è drentu ca è fora è fora”! Quindi, la chiusura tramite enormi chiavistelli e tanti saluti fino all'indomani mattina.
Perciò, anche a quei tempi, esistevano i favoriti così come adesso; autorità o amici degli stessi poteva usufruire di un trattamento agevolato, alla faccia degli altri abitanti che popolavano la città e lavoravano all'esterno, ma il loro cruccio era di essere prigionieri tra le mura, e per nessuna ragione era consentito loro di contravvenire alle regole imposte dai governanti. Ecco quindi la vera storia del modo di dire “Sassaresu in Ciabi”, tramandata nei secoli fino ai nostri giorni con sempre quel pizzico di spirito campanilista, per poter, almeno in quel caso, evidenziare che i sassaresi sono sempre stati “servi ( ziracchi ) in casa propria”.''
{Tino Grindi}
















A cura di Capitano.



Decalogo del sassarese al mare  Scritto da Gavino Giagu .

E se non avevi gli zoccoli da fare rumore umbè ,comprati in piazza Tola e l'asciugamano sotto il braccio .....A Platamona non ci potevi andare.
E SAPPI CHE:

1) Il vero sassarese non va al mare, ma "fara a Platamona", che non é la semplice spiaggia dei sassaresi, ma un vero e proprio microcosmo, un concetto filosofico, un alto ideale, uno stile di vita esclusivo che solo un sassarese doc si può permettere.

2) Se maggiorenne e dotato di mezzo proprio il sassarese percorre la strada statale Buddi Buddi per raggiungere la sua località balneare preferita. La scelta cade su questo percorso poichè un sassarese che si rispetti fa tappa al bar Graziella, dove, dopo aver parcheggiato sgommando, entra gioioso e schiamazzante e chiede una bottiglia di
birra e tre bicchieri (anche se é da solo, ma dire "una bottiglia di birra e tre bicchieri mascì" fa più ommu).

3) Il sassarese minorenne non dotato di mezzo proprio si reca a Platamona con il mezzo di trasporto per eccellenza, "l' EMMEPI'", nelle due varianti "via Buddi Buddi" e "via Ottava". La scelta dell'una o dell'altra opzione é del tutto indifferente per il minorenne, perchè l'importante é trovare posto dietro "pa fà barracca". Essenziale un coro tipo "zi poni la faccia in culu lu controllò lu controllò" all'ingresso del controllore sul mezzo.

4) Un sassarese "come si tocca" (epiteto dato a persona che si rispetti) va al mare con costume slip aderente, zocculi e maglia della Torres. Il perchè di questi tre capi d'abbigliamento é spiegato di seguito:

a) Gli slip: intanto i boxer é "robba di frosci", e poi lo slip permette al sassarese di mostrare, tutto tronfio e pieno di sè, la propria attrezzatura sessuale (spesso sovradimensionata da una melanzana di dimensioni medie apposta all'interno degli slip stessi).
Lo slip, accuratamente rinforzato, permette inoltre di sostare nel bagnasciuga della spiaggia (meglio se "lu terzo", terzo pettine per i blasfemi) per mostrare alle gentili donzelle che passeggiano la propria virilità , accompagnando l'esposizione artistica con frasi del tipo "Ebbbè mascì, ma robba così mai visto ne hai?" o con 'intramontabile "Meee mascì, abaidda ogna pizzona dell'anglona", seguito da un sonoro verso del maiale.

b) Li zocculi (zoccoli per i profani): intanto le
infradito é "robba di frosci". Questo pittoresco quanto elegantissimo capo d'abbigliamento, consente al vero sassarese di espletare due funzioni fondamentali: innanzitutto il passo con trascinamento del piede risulta molto rumoroso e cadenzato e può ricordare il rullare dei tamburi dei candelieri; in secondo luogo, se inserito in una mano e non nel piede, lu zocculu può diventare l'arma vincente in un sano "affarratorio" con qualcuno che sta guardando male.

c) Maglia della Torres: intanto chi non tifa Torres é "un bè frosciu". Qui c'é poco da commentare, la maglia della Torres é la seconda pelle di qualsiasi sassarese che si rispetti.

5) Almeno ¾ del tempo che un vero sassarese dedica alla sua gita al mare, vanno trascorsi a "lu chiosco" (per i trogloditi non sassaresi si legge ghiosco), in modo tale da potersi dedicare all'attività nella quale ciascun sassarese che si consideri tale deve eccellere: bere birra. L'attività madre deve essere svolta possibilmente in chiassosa compagnia e comporta l'ingurgitamento di un minimo di 12 litri di birra a ora di permanenza a "lu chiosco".
Vietato rigorosamente sedersi: il sassarese puro beve in piedi vicino al bancone e appoggia il bicchiere solo se per trastullarsi le parti intime in caso di eccessiva "magnazzona" (prurito per gli stranieri).
Inutile dirlo perchè ovvio: sempre e comunque rutto libero!!!

6) Il pranzo in pineta non é la semplice soddisfazione di un bisogno primario (l'alimentazione), ma é n'istituzione sacra, una filosofia di vita, un percorso mistico trascendentale che in certi casi può portare al raggiungimento del nirvana. Non esiste che un sassarese si porti il panino da casa o compri un tramezzino a lu ghiosco (tutta robba di frosci); il pranzo in pineta deve essere consumato in compagnia numerosissima e deve prevedere come minimo una decina di portate: dallo zimino alla cordula, dalle favette alle lumachine, dai coccoi alla carne di cavallo e così via. Immancabile la presenza dei "cigioni" (gnocchi) e della sindria (anguria) messa a raffreddare sul bagnasciuga insieme ai boccioni di vino. E' essenziale che il pasto venga accompagnato da fiumi di vino rosso (rigorosamente in boccione) e si concluda con un assaggio di acquavite o mirto rosso, possibilmente fatto in casa, ma un Zedda Piras (santi subito!!!) va bene uguale.
Per il dopo pranzo al sassarese doc si presentano diverse opzioni ludico-culturali tra cui segnaliamo:

a) Una bella cantata in compagnia, rigorosamente cun la ghitterra (con aggiunta di mandulinu per i puristi) spaziando tra i pezzi storici di Ginetto Ruzzetta eGiovannino Giordo ai più commerciali e psichedelici Sonos de Mano, il cui pezzo storico "la notti" ha di gran lunga surclassato la ormai obsoleta canzone del sole.

b) Il mangiare può provocare in alcuni degli combussolamenti intestinali tali da richiedere un'immediata evacuazione. Il sassarese doc, da gran signore, segnala ai presenti la sua impellente necessità fisiologica innanzitutto "truddiendi cumenti un cani" (petando come un essere vivente di razza canina, sempre per i profani) e rivolgendosi ai commensali con francesismi e frasi culturalmente elevate quali: "Teee fiaggadilu abà " oppure "Teeee coloralu". Dopo il gustosissimo siparietto un vero sassarese si alza dalla sedia (dopo tre ore di pranzo) e dichiara ad alta voce "Bé, guasi guasi andu a fammi una bedda caggadda" e tra gli applausi commossi della gente si avvia con passo svelto verso i pini interni che gli consentono di dedicarsi alla tanto agognata defecatio.

c) I più colti e cosmopoliti dei sassaresi si dedicano invece allo scambio interculturale. Già dal primo pomeriggio é infatti possibile scambiare opinioni sulla geopolitica internazionale con delle simpaticissime signorine nigeriane che sostano nelle strade adiacenti ai pettini.

d) E' concessa la pennichella post-pranzo da consumarsi all'ombra di un pino, evitando accuratamente di posizionarsi su quelli un po' più interni per non incorrere in spiacevoli discussioni con i sassaresi che si stanno dedicando all'attività descritta nel punto b.

7) Il telo da mare é un accessorio del tutto opzionale. In passato, il dibattito tra puristi e modernisti sull'utilità dell'oggetto in questione é stato anche molto aspro. Da un lato c'era chi sosteneva l'inutilità di un simile pezzo di stoffa e dall'altro chi invece spingeva per il suo utilizzo; l'avvento del bidet nelle case ha comunque spostato l'attenzione dell'intellighentia sassarese sulla possibilità o meno di utilizzare il sanitario in questione per piantare peddrusimmula (prezzemolo per gli ignoranti). Alla fine chi proprio non può farne a meno può utilizzare l'asciugamano, purchè sia ben visibile la scritta Birra Ichnusa su un lato e Bionda Sardegna sull'altro.

8) Durante la permanenza in spiaggia un vero sassarese non può a fare a meno di costruire di suo pugno e ovviamente con il talento ingegneristico che lo contraddistingue un "trampolinu" (trampolino per i blasfemi) adatto per l'attività fisica nota come "Tuffà ". Utilizzando vario materiale che la spiaggia di Platamona mette generosamente a disposizione il sassarese doc costruisce così "lu trampolinu" e si mette ordinatamente in fila per poter usufruire del medesimo. Correndo il più veloce possibile e con urlo sovraumano il degno sassarese si avvicina a lu trampolinu posizionato nel bagnasciuga, poggia un piede sulla pedana e spicca un atletico balzo che lo porta ad immergersi in acqua a "cabuzzoni" o nel più classico tuffo a "bbbomba"."

martedì 21 gennaio 2014

NAVE POSTALE CITTA' DI SASSARI



Avevamo già parlato di questo argomento l'anno scorso. Non lo abbiamo mai approfondito. E' nostra intenzione farlo adesso...
NAVE POSTALE CITTA' DI SASSARI

Sono le quattro del mattino del 1/12/1917 il Città di Sassari lasciò Villefranche al comando del capitano Guido del Greco, di scorta ai piroscafi Polinesia, Norden e Villa de Soller.
Allegri tra le truppe si ride e si scherza nel freddo mare di dicembre.
C'è chi si appresta a cucinare, chi invece deve stare al freddo di guardia sul ponte.
Chi addetto alla sala macchine, i fuochistI I nocchieri ci sono anche i medici a bordo. Però.... qualcosa improvvisamente stravolge  una giornata apparentemente serena a bordo della nave città di Sassari...
ORE 11,20 UN FORTE BOATO mentre si navigava tra Ceriale e Loano,
Centrato da un siluro in sala macchine, all'altezza delle caldaie, il Città di Sassari affondò nel giro
di alcuni minuti. Ad attaccare fu un sommergibile della flotta Austro-Ungarica che accelerò l'affondamento dell'unità Italiana esplodendo contro di essa alcune cannonate. Diciamo il classico colpo di grazia.
Continueremo a fare crescere questo post e continuare a narrare questa storia ai più sconosciuta..

lunedì 13 gennaio 2014

RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI


A cura di Antonio Carta

In Regione  " La Crucca" si trova un nuraghe  recintato e messo sotto protezione dalla sovrintendenza ai beni culturali. Quello  che vi volevo far vedere, era la bellezza di quel Sito Nuragico che, alla base ha due tombe, le quali a suo tempo furono  saccheggiate dai tombaroli. Tanto tempo fa ritrovai intorno a quel sito alcune tombe con dei teschi affioranti.  Da quel momento, chiesi l'intervento della scientifica della Questura. I teschi ritrovati, risultarono del periodo intorno al 1200.  L'intervento è avvenuto qualche anno fa. Vi propongo le foto relative a quella giornata.











mercoledì 8 gennaio 2014

I nostri Nonni

A cura di Mario Grimaldi


PER SCRIVERE UNA GOCCIA DI STORIA
(VITA QUOTIDIANA DEI NOSTRI NONNI NEL 1945/1946):

Abbiamo già trattato, in diverse occasioni, della guerra e dell'odio incontenibile che ha saputo produrre. Ma POCO di quelle che sono state le sofferenze che hanno seguitato a "martirizzare" la gente, anche, al termine della belligeranza.
E' inevitabile dunque che anche la nostra città, come del resto tutte le altre città, ha dovuto sopportare dette situazioni di disagio (anche se chiamarlo disagio è puro eufemismo) che ne hanno destabilizzato l'assetto sociale ed economico e sopratutto ai livelli più bassi del ceto.
"Da ricerche sul modus vivendi di allora risulta inequivocabilmente che vi era, per esempio, una esasperata attenzione alle economie, il non buttare niente diventava più che un abitudine, un ossessione. E un ossessione costante e tuttavia necessaria, indispensabile era quella che spingeva a rifare tutto, riutilizzare, non una, ma più volte: soprabiti che diventavano, dopo esser stati rivoltati, giacche, giacche che diventavano nuovamente soprabiti per i più piccoli, indumenti che venivano indossati, nel corso degli anni, da tutti i componenti della famiglia, finché, quando erano oramai da gettare, venivano ancora usati per farne uno straccio o delle pantofole. Ormai da alcuni anni non vi era più la libera vendita, nessun oggetto di cuoio, né scarpe né borse né cinghie, e perfino il filo per cucire veniva razionato, anche su quello bisognava risparmiare.
L'inverno era freddissimo e non vi era più legna né carbone. Ci dicono le cronache di allora e i racconti dei vecchi, che, a volte, anche in pieno giorno, a volte, si segavano gli alberi dai giardini o dai viali, venivano divelte le panchine dei giardini pubblici, si frugava in ogni dove (anche tra le macerie laddove persistevano) per cercare qualche pezzo di legna da ardere. La fame picchiava duro su tutti: sui vecchi, che rimanevano in casa timorosi del freddo e quindi non più utilizzabili per fare le file al mercato o dal fornaio; sugli uomini abili che arrivavano dal lavoro sfiniti; sui ragazzi... sui bambini.
Naturalmente tante altre ancora situazioni di malessere che ad elencarle non basterebbe un post, ma occorrerebbe scrivere un libro... Altra complicazione non trascurabile era quella della tubercolosi in agguato, l'altra delle malattie intestinali a causa delle quali morivano molti bambini, malattie rapide e misteriose". 
Ci è voluto ancora un po per ristabilire una accettabile normalità dopo il flagello della guerra che intanto continuava, coi suoi strascichi a mietere vittime e dispensare sofferenze di ogni sorta.