domenica 28 settembre 2014

VITA CITTADINA NEL MEDIOEVO:



  ISCRIVITI AL NOSTRO GRUPPO SU FACE BOOK




A CURA DI Mario Grimaldi








Anche Sassari, aveva quale ruolo essenziale (come tutte le altre città dell’epoca) quello di essere un centro di consumo. I borghesi mangiano, bevono, si cambiano spesso i vestiti e addirittura creano la moda:  
a volte portano le scarpe arrotondate, a volte con una punta lunga diversi centimetri; le dame si sbizzarriscono nei copricapo, inventano maniche staccabili, che emergono dalle sopravvesti e vengono cambiate a seconda degli impegni del giorno, si cingono di cinture preziose. I gioielli diventano sempre più preziosi e cesellati. Abiti e mantelli si arricchiscono di orli di pelliccia. Le case si riempiono di tappeti, specchi, tende di broccato. Si ma fuori da questi ambienti privilegiati, per la strada cosa c’era? Penso non sia difficile immaginare le vie molto sporche: I rifiuti, infatti venivano gettati dalle finestre e quelli commestibili venivano ripuliti dai cani randagi, dalle galline “ruspanti” tra l’immondizia e soprattutto dai maiali che il Comune “assoldava” dai proprietari come veri e propri spazzini. La convivenza con gli animali in spazi tanto ristretti , quali le vie cittadine, erano all’origine dei parassiti che tormentavano la popolazione e dei nugoli di mosche che giravano ion città. Teoricamente ciascuno avrebbe dovuto tenere pulito il tratto davanti alla propria casa, ma solo in caso di pioggia violenta si riusciva a vedere le strade decenti. 


Le viuzze erano vere e proprie fogne a cielo aperto dove il profumo del pane fragrante che usciva dalla bottega del fornaio si mescolava al fetore della carne non più fresca, alla zaffate provenienti dalle stalle e agli “odorini” emanati dal contenuto dei vasi da notte che, nottetempo, veniva riversato nella pubblica via. Con tutta la buona volontà da parte degli amministratori cittadini non si riusciva a far proprio granché in termini di igiene. Corre voce che esistano dei documenti , addirittura del 1200, che testimoniano l’avvenuta lettura, ad alta voce, di un banditore che pressapoco così recitava: “Il Comune assegnerà al migliore offerente il diritto di tenere per un anno nella pubblica Piazza una scrofa e quattro maialini perché raccolgano e mangino tutta la spazzatura e il letame e le granaglie che vi si accumulano”.Ma andando avanti, possiamo immaginare che attorno alle fontane e i pozzi, i cittadini si scambiavano novità e pettegolezzi; che i mendicanti vivevano e dormivano per l strada. Inoltre le lotte tra le fazioni e la criminalità comune, molto diffusa rendevano la città medioevale un luogo prevalentemente dominato dalla prepotenza e dalla forza bruta.
Nonostante questi sconci, però, i borghesi diedero il via a quella “civilizzazione dei costumi” che diventò poi la base della cultura urbana e che cominciò allora a diversificarsi sempre di più dalla cultura contadina. Prima di tutto all’interno delle parrocchie, dei quartieri e delle corporazioni nacquero dei fortissimi legami di solidarietà che crearono una nuova apertura alla socievolezza e al mutuo soccorso. I membri di queste comunità amavano chiacchierare insieme a casa o per la strada. Battesimi, matrimoni e funerali non riguardavano più soltanto i parenti, ma anche i vicini. Nacquero le forme di saluto, per esempio stringersi la mano e togliersi il cappello per strada, e una serie di di espressioni diversificate a seconda del personaggio a cui ci si rivolgeva: gli intimi, i conoscenti propri pari, gli stranieri, i potenti, Questo sforzo di codificare i propri comportamenti assunse le forme proprie e originali della borghesia, ma derivò dalla imitazione dei rituali aristocratici, cioè della “corte” feudale e per questo motivo fu chiamata “cortesia”. Nasce il saluto “moderno”. A imitazione dei cavalieri che, per salutare, alzano la celata dell’elmo, i borghesi si tolgono il cappello. Siamo ancora molto lontani dal tempo in cui doveva nascere il sentimento di patria nel senso di appartenenza a una stessa “nazione”, per l’uomo medioevale il patriottismo si limitava alla propria città e il senso di appartenenza più esteso era quello che legava ciascuno alla religione cristiana.(Quando durante un viaggio, si incontrava un altro viaggiatore e gli si chiedeva chi fosse, la risposta non era “un italiano” o “un sardo”, ma: “un cristiano di Sassari” (o di Roma o di Napoli etc.).I cittadini erano molto orgogliosi della propria città, prima di tutto ne lodavano “ le mura turrite”(cioè costellate di torri, simbolo di protezione e sicurezza, e poi la piazza, dove si trattavano gli affari, si ascoltavano le prediche dei predicatori famosi, dove convergevano le processioni solenni o si svolgevano i giochi e le sagre.Poi vi erano le botteghe delle maestranze , delle quali ancora oggi in buona parte, si conserva il nome dato alle vie in virtù della specializzazione lavorativa - (ma di questo ne parleremo in un secondo tempo come parleremo di tutto quanto gravava attorno all’ambito cittadino, o ne faceva parte integrante della vita quotidiana).
Un breve accenno ad un mestiere vecchio quanto il mondo: vi erano anche le prostitute che erano spesso ragazze di campagna attirate in città dal miraggio del facile guadagno, orfane scappate dagli ospizi, lavoratrici nubili cacciate dai loro padroni; queste donne per qualche tempo vissero isolate in aree marginali, ma nel XIV secolo gli uomini al potere riconobbero la loro “utilità sociale” e le radunarono in case di malaffare in pieno centro, spesso gestite proprio dagli uomini politici più in vista.... MA QUESTA E’ UN ALTRA STORIA.

Mario Grimaldi

LI "BOTTI" : (le scarpe lusso per signori)



ANEDDOTI, RCORDI E STORIE DELLA SASSARI DI ALLORA. 


Un signore che è morto verso la fine degli anni 60 alla venerabilissima età di 98 anni, (contadino e ortolano che abitava nelle campagne di Logulentu e riforniva molte famiglie sassaresi dei frutti del suo lavoro, nelle campagne si muoveva ancora con un carrettino trainato da buoi mentre, quando si recava a Sassari utilizzava come traino un cavallino, più brocco che altro - che si chiamava "Pindagliu" - per il trasporto delle merci da vendere) ,RICORDO che spesso mi raccontava l modi di vivere durante la sua fanciullezza. In particolare mi ritorna in mente un suo racconto che verteva sul "lusso" che rappresentava il fatto di possedere un paio di scarpe."Eravamo felici, DICEVA, anche se camminavamo ancora scalzi sino all'età di quindici o sedici anni. Nè costituiva motivo d'invidia il fatto che qualcuno più fortunato degli altri calzasse le scarpe anche prima.Molti giovani mettevano per la prima volta le scarpe in occasione del servizio militare , E PER POTERLE CALZARE C'ERA BISOGNO DI UN ADEGUATO ... <TIROCINIO>, durante il quale si provvedeva anche all'eliminazione dei calli della pianta del piede. Le donne anche da adulte, accudivano alle faccende domestiche quasi sempre scalze, come anche quando andavano a prender acqua alla fonte, Soltanto quando c'era da percorrere lunghe distanze e su terreni scoscesi o pietrosi mettevano vecchi calzari. A quindici o sedici anni, dunque cominciavamo a calzare le scarpe e con esse ad indossare i pantaloni lunghi e ad usare la cintura al posto delle bretelle; la cintura, peraltro, era il segno distintivo di raggiunta maturità. Ci sentivamo oramai degli ometti e i giochi dell'infanzia diventavano dei piacevoli ricordi mentre si cominciava ad intraprendere la via dei campi, degli orti, delle vigne e... quindi del lavoro. Una volta indossati i calzoni lunghi, eravamo autorizzati a portare anche la rasoggia (coltello) da utilizzare come indispensabile arnese da lavoro, un arnese plurivalente senza il quale ci si sentiva inermi e inutili. La maggior parte dei ragazzi crescevamo e lavoravamo pensando al matrimonio e quindi ad accasarci e creare una famiglia (per molti di noi il giorno del matrimonio era anche la prima esperienza sessuale); l'uomo che non si sposava era guardato con diffidenza e ritenuto non meritevole di considerazione. .... Ma queste sono altre storie, borbottava nel concludere Zio Salvatorico"" e dandomi un colpetto sulla spalla mi salutava e risaliva faticosamente sul suo carretto per continuare il suo gravoso impegno della distribuzione degli ortaggi, dell'olio della frutta e di tutto quel ben di Dio che costituiva il carico di quell'affascinante mezzo di trasporto.





Maliziosi pensieri di una Sassari tiepidamente assopita.

A cura di Sassari Storia. da un post di Mario Grimaldi.