domenica 28 settembre 2014

VITA CITTADINA NEL MEDIOEVO:



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A CURA DI Mario Grimaldi








Anche Sassari, aveva quale ruolo essenziale (come tutte le altre città dell’epoca) quello di essere un centro di consumo. I borghesi mangiano, bevono, si cambiano spesso i vestiti e addirittura creano la moda:  
a volte portano le scarpe arrotondate, a volte con una punta lunga diversi centimetri; le dame si sbizzarriscono nei copricapo, inventano maniche staccabili, che emergono dalle sopravvesti e vengono cambiate a seconda degli impegni del giorno, si cingono di cinture preziose. I gioielli diventano sempre più preziosi e cesellati. Abiti e mantelli si arricchiscono di orli di pelliccia. Le case si riempiono di tappeti, specchi, tende di broccato. Si ma fuori da questi ambienti privilegiati, per la strada cosa c’era? Penso non sia difficile immaginare le vie molto sporche: I rifiuti, infatti venivano gettati dalle finestre e quelli commestibili venivano ripuliti dai cani randagi, dalle galline “ruspanti” tra l’immondizia e soprattutto dai maiali che il Comune “assoldava” dai proprietari come veri e propri spazzini. La convivenza con gli animali in spazi tanto ristretti , quali le vie cittadine, erano all’origine dei parassiti che tormentavano la popolazione e dei nugoli di mosche che giravano ion città. Teoricamente ciascuno avrebbe dovuto tenere pulito il tratto davanti alla propria casa, ma solo in caso di pioggia violenta si riusciva a vedere le strade decenti. 


Le viuzze erano vere e proprie fogne a cielo aperto dove il profumo del pane fragrante che usciva dalla bottega del fornaio si mescolava al fetore della carne non più fresca, alla zaffate provenienti dalle stalle e agli “odorini” emanati dal contenuto dei vasi da notte che, nottetempo, veniva riversato nella pubblica via. Con tutta la buona volontà da parte degli amministratori cittadini non si riusciva a far proprio granché in termini di igiene. Corre voce che esistano dei documenti , addirittura del 1200, che testimoniano l’avvenuta lettura, ad alta voce, di un banditore che pressapoco così recitava: “Il Comune assegnerà al migliore offerente il diritto di tenere per un anno nella pubblica Piazza una scrofa e quattro maialini perché raccolgano e mangino tutta la spazzatura e il letame e le granaglie che vi si accumulano”.Ma andando avanti, possiamo immaginare che attorno alle fontane e i pozzi, i cittadini si scambiavano novità e pettegolezzi; che i mendicanti vivevano e dormivano per l strada. Inoltre le lotte tra le fazioni e la criminalità comune, molto diffusa rendevano la città medioevale un luogo prevalentemente dominato dalla prepotenza e dalla forza bruta.
Nonostante questi sconci, però, i borghesi diedero il via a quella “civilizzazione dei costumi” che diventò poi la base della cultura urbana e che cominciò allora a diversificarsi sempre di più dalla cultura contadina. Prima di tutto all’interno delle parrocchie, dei quartieri e delle corporazioni nacquero dei fortissimi legami di solidarietà che crearono una nuova apertura alla socievolezza e al mutuo soccorso. I membri di queste comunità amavano chiacchierare insieme a casa o per la strada. Battesimi, matrimoni e funerali non riguardavano più soltanto i parenti, ma anche i vicini. Nacquero le forme di saluto, per esempio stringersi la mano e togliersi il cappello per strada, e una serie di di espressioni diversificate a seconda del personaggio a cui ci si rivolgeva: gli intimi, i conoscenti propri pari, gli stranieri, i potenti, Questo sforzo di codificare i propri comportamenti assunse le forme proprie e originali della borghesia, ma derivò dalla imitazione dei rituali aristocratici, cioè della “corte” feudale e per questo motivo fu chiamata “cortesia”. Nasce il saluto “moderno”. A imitazione dei cavalieri che, per salutare, alzano la celata dell’elmo, i borghesi si tolgono il cappello. Siamo ancora molto lontani dal tempo in cui doveva nascere il sentimento di patria nel senso di appartenenza a una stessa “nazione”, per l’uomo medioevale il patriottismo si limitava alla propria città e il senso di appartenenza più esteso era quello che legava ciascuno alla religione cristiana.(Quando durante un viaggio, si incontrava un altro viaggiatore e gli si chiedeva chi fosse, la risposta non era “un italiano” o “un sardo”, ma: “un cristiano di Sassari” (o di Roma o di Napoli etc.).I cittadini erano molto orgogliosi della propria città, prima di tutto ne lodavano “ le mura turrite”(cioè costellate di torri, simbolo di protezione e sicurezza, e poi la piazza, dove si trattavano gli affari, si ascoltavano le prediche dei predicatori famosi, dove convergevano le processioni solenni o si svolgevano i giochi e le sagre.Poi vi erano le botteghe delle maestranze , delle quali ancora oggi in buona parte, si conserva il nome dato alle vie in virtù della specializzazione lavorativa - (ma di questo ne parleremo in un secondo tempo come parleremo di tutto quanto gravava attorno all’ambito cittadino, o ne faceva parte integrante della vita quotidiana).
Un breve accenno ad un mestiere vecchio quanto il mondo: vi erano anche le prostitute che erano spesso ragazze di campagna attirate in città dal miraggio del facile guadagno, orfane scappate dagli ospizi, lavoratrici nubili cacciate dai loro padroni; queste donne per qualche tempo vissero isolate in aree marginali, ma nel XIV secolo gli uomini al potere riconobbero la loro “utilità sociale” e le radunarono in case di malaffare in pieno centro, spesso gestite proprio dagli uomini politici più in vista.... MA QUESTA E’ UN ALTRA STORIA.

Mario Grimaldi

LI "BOTTI" : (le scarpe lusso per signori)



ANEDDOTI, RCORDI E STORIE DELLA SASSARI DI ALLORA. 


Un signore che è morto verso la fine degli anni 60 alla venerabilissima età di 98 anni, (contadino e ortolano che abitava nelle campagne di Logulentu e riforniva molte famiglie sassaresi dei frutti del suo lavoro, nelle campagne si muoveva ancora con un carrettino trainato da buoi mentre, quando si recava a Sassari utilizzava come traino un cavallino, più brocco che altro - che si chiamava "Pindagliu" - per il trasporto delle merci da vendere) ,RICORDO che spesso mi raccontava l modi di vivere durante la sua fanciullezza. In particolare mi ritorna in mente un suo racconto che verteva sul "lusso" che rappresentava il fatto di possedere un paio di scarpe."Eravamo felici, DICEVA, anche se camminavamo ancora scalzi sino all'età di quindici o sedici anni. Nè costituiva motivo d'invidia il fatto che qualcuno più fortunato degli altri calzasse le scarpe anche prima.Molti giovani mettevano per la prima volta le scarpe in occasione del servizio militare , E PER POTERLE CALZARE C'ERA BISOGNO DI UN ADEGUATO ... <TIROCINIO>, durante il quale si provvedeva anche all'eliminazione dei calli della pianta del piede. Le donne anche da adulte, accudivano alle faccende domestiche quasi sempre scalze, come anche quando andavano a prender acqua alla fonte, Soltanto quando c'era da percorrere lunghe distanze e su terreni scoscesi o pietrosi mettevano vecchi calzari. A quindici o sedici anni, dunque cominciavamo a calzare le scarpe e con esse ad indossare i pantaloni lunghi e ad usare la cintura al posto delle bretelle; la cintura, peraltro, era il segno distintivo di raggiunta maturità. Ci sentivamo oramai degli ometti e i giochi dell'infanzia diventavano dei piacevoli ricordi mentre si cominciava ad intraprendere la via dei campi, degli orti, delle vigne e... quindi del lavoro. Una volta indossati i calzoni lunghi, eravamo autorizzati a portare anche la rasoggia (coltello) da utilizzare come indispensabile arnese da lavoro, un arnese plurivalente senza il quale ci si sentiva inermi e inutili. La maggior parte dei ragazzi crescevamo e lavoravamo pensando al matrimonio e quindi ad accasarci e creare una famiglia (per molti di noi il giorno del matrimonio era anche la prima esperienza sessuale); l'uomo che non si sposava era guardato con diffidenza e ritenuto non meritevole di considerazione. .... Ma queste sono altre storie, borbottava nel concludere Zio Salvatorico"" e dandomi un colpetto sulla spalla mi salutava e risaliva faticosamente sul suo carretto per continuare il suo gravoso impegno della distribuzione degli ortaggi, dell'olio della frutta e di tutto quel ben di Dio che costituiva il carico di quell'affascinante mezzo di trasporto.





Maliziosi pensieri di una Sassari tiepidamente assopita.

A cura di Sassari Storia. da un post di Mario Grimaldi.


venerdì 26 settembre 2014

"LU SIDDADDU" e "LU TRISORU"

A CURA DI  Mario Grimaldi










"Gli antichi Sassaresi di modesta estrazione sociale, ma anche se in percentuale minore anche altri, dissertavano all'occasione, oltre che sulle comari credulone e magliaie(fattucchiere) sulle diverse categorie di pindacci, sui siddaddi e sui vari geni malefici, compreso quello super potente chiamato "LU TRAIGOGGIU"-
I "Pindacci" (da non confondere con quelli che dispensano sfortuna poichè erano, invece chiamati Iettatori) frequentavano le antiche cantine tetre e umide, ricavate sulla roccia calcarea sotto le case, e dove venivano conservati, olio, vino formaggi etc. - "Lu Pindacciu" aveva la testa coperta da sette berretti di color rosso smaglinate ,in quelle cantine aspettava che qualche giovane coraggioso tentasse di rubargli almeno uno di quei sette copricapi, se l'impresa riusciva l'eroe si sarebbe trovato in possesso di un immenso tesoro."


Di seguito un sonetto di Ziu Cesaru (CESARINO MASTINO) ci ricorda "LU SIDDADDU":

GIASIA (Nonna) già li sabbia tutti li tani
e li chintini undi era lu siddaddu:
Di notti, mi dizzia, s'ivvoltha /si trasforma) a cani
pa tintà lu trisoru suttarraddu,
E si no bè affusthifigaddu (fortificato)
cu li midagli e li iscuppurari
appena ti sirrieggia (ti vede) hai vinnannaddu.
Ca l'ha futtiddu bé è Zuniari,
Chissù chi vendi li sciscii(copricapi) a li menghi (ignoranti):
L'ha ischubiaddu(scoperto) la tana, e a l'orazioni
S'ha pienu un saccu mannu di marenghi,
Anéddi e braciaretti d'oru antiggu;
E abà già ni pussèdi di mirioni,
Parazzi e tanchi siminaddi a triggu! -
Pobara giàia, cant'era innuzenti !
No abìa cumpresu chi ghissu mazzoni
abìa fattu dinà futtendi crienti!!!!




Frigianu Porto (storia periferica)






A CURA DI Amira Maggio



Castelsardo, visto dall'antico Porto Frigiano o di Frigiano, di cui sull'altipiano appaiono le rovine. La torre, avamposto del porticciolo faceva parte del sistema delle torri costiere eretto sotto Filippo II di Spagna. In molti documenti medioevali, non molto chiari, indicanti le battaglie navali tra i saraceni delle Baleari e i sardo-franco-corsi , il porto viene chiamato erroneamente Ampurias. Il porto d' Ampurias era situato alle foci del Coghinas in Loc. San Pietro a Mare. Il Condake di Santa Maria di Thergu narrante l'approdo del legato pontificio per la consacrazione della chiesa, riporta: <fesit terra in Ampurias, in sa fogue de Coghinas> . Ampurias fu sede vescovile, fin dall' undicesimo secolo. Nell'anno della consacrazione della chiesa di S.Maria di Tergu (1116) il vescovo di Ampurias si chiamava Nicolò. Questa diocesi di Amp. confinava con quella di Phausania o di Civita, e con quella di Ottana e naturalmente con quella di Torres.
La sede episcopale di S. Pietro a Mare o cattedrale passò all'epoca dei Doria a Castelsardo sotto il nome di Ampurias.

Barracelli.






A cura di: Vicari Salvatore




























I Barracelli a cura di Mario Grimaldi


Sassari Aragonese (cenni storici "La Charta De Logu).






A Cura di Mario Grimaldi

Nel 1369 Mariano d’arborea innalzò ancora una volta il vessillo dell’indipendenza sarda. Attacco SASSARI e la occupò. Vi rimase fino al 1371, come restauratore del regime dei Giudici. Gli storici riferiscono timidamente che in quegli anni Mariano, consultati gli STATUTI SASSARESI, compilò la “Charta De Logu” o Codice di leggi aderenti al “modus vivendi” sardo. Il re di Aragona non ricorse alla guerra: Diplomaticamente concesse a Mariano privilegi speciali e il diritto di governare il Giudicato di Arborea come un viceré isolandolo negli stretti confini del campidano oristanese. A SASSARI, espulsi sos sardos, la popolazione cominciò a trasformarsi in una società nuova sotto la pressione dell’organismo politico degli stamenti: militare, reale, ecclesiastico. Alta società: i nobili e i ricchi rappresentavano lo stato militare, i membri del Consiglio e i funzionari del Comune, i professionisti, lo stato reale; il Clero secolare e regolare, lo stato ecclesiastico. Alta società sotto l’egida del Governatore - Riformatore, munito del potere assoluto militare e giudiziario, con la su Corte e Guardia del Corpo. Emblema: IL CASTELLO. Il popolo, composto da famiglie di agricoltori e artigiani più o meno benestanti e da famiglie di Giorgi senza arte ne parte, ondeggianti tra la miseria e povertà, rappresentava la società bassa, che o per opportunismo o malcelata ambizione si atteggiava ad alta società con i Gremi o con le confraternite, respingendo in qualche modo i “Giorgi” o la bassa forza al livello dei “sottogremi” e delle “sottoconfraternite”. Così nella cityta alta il Castello, lo stamento militare; a metà della “gran via” (Platha) , lo stamento reale, e il Duomo e le altre chiese, lo stamento ecclesiastico; nella città bassa: il Rosello e quattrocento fontane con Re Giorgio e la Corte dei Gremi, sottogremi, le confraternite e sottoconfraternite. 





Le Vignate


CURIOSITA' NELLE CONSUETUDINI DI SASSARI DI ALLORA: 




A cura Di   Mario Grimaldi

"Come scrisse Renato Pintus, approfittando del'occasione della vendemmia Tutta Sassari era in campagna nell'ottobre e dall'una all'altra vigna a far visita vicendevolmente, si facevano pranzi o merende comuni, si dividevano con piacere gli incomodi, si ricevevano gli amici degli amici, si viveva una vita tutta nuova, tutta sassarese, un attività, forse così intensa che non si esplicava in altre città agricole, forse perchè nessuna aveva le campagne così vicine all'abitato come le nostre". 

Molto spesso le belle comitive <greffe> si recavano in campagna sull'imbrunire del sabato, con torce a vento o palloncini luminosi e la nottata costituiva la parte migliore del divertimento. Non si deve credere che la comodità delle abitazioni costituisse attrattiva da lusingare le allegre brigate col miraggio di confortanti riposi: tutt'altro!
Si sapeva bene che ogni comodità mancava, eppure ogni disagio si affrontava con noncuranza, anzi con allegria, con quel buonumore caratteristico da cui scaturiva l'arguzia, la risata schietta della persona felice.


Talvolta poche stanze a pian terreno, in parte occupate dal tino, dal torchio e da altri attrezzi agricoli, erano l'unico rifugio dei festeggianti. Ivi si deponevano i soprabiti, i mantelli, le borsette da viaggio, i cappellini: fuorchè a guardarobe questi ambienti rustici non servivano ad altro. 


Il teatro del divertimento era il patio <piazzale> dinnanzi alla casa dove ci si rifocillava, si ballava, ci si imparavano giochi di società e si accendevano infine i fanosi falò (FUGGARONI) per giostrarvi attorno in una sorta di ballo tondo (da non confondere col ballo sardo). 

A QUEL TEMPO UNQUE RISALGONO LE "vignate sassaresi"?
Se le origini si devono all'impianto delle vigne, certo è che le vignate nacquero con Sassari.

lunedì 22 settembre 2014

SASSARI - "SAN MICHELE DI PLAIANO"


Hanno collaborato alla realizzazione di questo post
Mario Grimaldi per il testo
Antonio Carta per le foto
Capitano Musica per la grafica



“PLAIANO” - Antico villaggio di origine medioevale che faceva parte del giudicato di Torres, compreso nella curatoria della Romangia. Era situato nelle campagne di Sassari. Dopo l’estinzione della famiglia giudicale, venne amministrato dal Comune di Sassari, che lo considerava sua proprietà e ne difendeva il possesso con grande determinazione, ma nei decenni successivi il territorio si spopolò completamente. Ed è qui che lungo la strada provinciale denominata “Buddi Buddi”, in località, appunto di Plaiano, che si trova la chiesa di San Michele. E’ stata edificata in conci calcarei, un unica navata (rettangolare), senza abside.Gli storici di storia dell’arte, lo ritengono uno dei primi esempi del romanico in Sardegna (XI-XII sec.) - della chiesa si possono vedere solamente la facciata e il lato nord, poiché sul fianco meridionale e sul retro sono stati posti in aderenza alcuni edifici “moderni” che ne nascondono la visibilità -. La struttura è stata costruita in due fasi: la prima successiva al 1.082 e la seconda (di allungamento dell’edificio) verso il 1.115 quando la chiesa fu data ai Camaldolesi, a questa seconda fase, risale anche, la facciata priva di campanile, orientata verso nord/nord ovest, questa è divisa in due ordini da una cornice a doppio smusso. Nell’ordine inferiore ci sono: un portale in legno con architrave in marmo (di nuova costruzione), che si appoggia su stipiti dello stesso marmo, arco di scarico a tutto sesto e infine tre arcate a pieno centro che poggiano su alte ma strette lesene (la lesena è un pilastro poco sporgente da una parete con funzione sia portante che decorativa). Nell’ordine superiore è un loggiato caratterizzato da cinque archi su piccole colonne e al centro una bifora di epoca recente. Comunque tanto nell’ordine inferiore che quello superiore sono presenti conci decorati ad intarsio in forme geometriche quali : rombi, rosoni, rettangoli, un tempo in policromia.All’ interno regna la penombra (certamente dovuta alla forma allungata dell’aula).
PER QUANTO RIGUARDA LA CHIESA E IL MONASTERO DI SAN MICHELE DI PLAIANO NUMEROSE SONO LE FONTI STORICHE , CHE CI RACCONTANO LA GRANDE CONSIDERAZIONE IN CUI ERA TENUTA SAN MICHELE NEL CORSO DEI SECOLI E FINO A TUTT’OGGI. Nel 1.116, come già detto, i Camaldolesi ottennero in dono dalla Primaziale pisana il monastero dedicato al Santo; successivamente nel 1.128 per volontà degli stessi Pisani venne concesso ai vallombrosani con tutte le pertinenze ad eccezione della corte di “SEPTEM PALMAS e della “NURRA che tennero per la loro chiesa. Con questa donazione i vallombrosani ottennero la concessione degli interi redditi, mentre la Primaziale manteneva la proprietà dei cespiti. Questi beni vennero certamente accreditati da varie Bolle papali come quella del 1138 di Innocenzo II che tra l’altro concesse loro autonomia di giurisdizione e di governo: e cosi via con le bolle di Alessandro III del 1.175, di Urbano III del 1.185 , di Clemente III del 1.188 e con quella del 1.252 disposta da Innocenzo IV. Nel 1.355 l’Abate di Plaiano Benedetto fu chiamato a partecipare al primo parlamento di Pietro IV d’Aragona in qualità di rappresentante del Braccio ecclesiastico.

Nel 1.444 papa Eugenio IV dispose che S. Michele di P. vesisse unita all’arcivescovo di Sassari; mentre nel 1.503, con disposizione di papa Giulio II, l’abbazia passava dalla Mitra sassarese a quella di Ampurias. Sisto V, poi nel 1585, decise di assegnare le rendite alla inquisizione sarda. Nel 1.769 i redditi di S. Michele furono assegnati all’Ospedale di Sassari che vendette la chiesa a tal Michele Sabino di Sorso il 17 luglio del 1.850.
Infine con decreto regio del 1.900 S. Michele di P. veniva ceduta al credito industriale Sardo e dopo ulteriori trasferimenti di proprietà tra lo stesso Credito e un certo Serra Cau Pietro la chiesa con le sue pertinenze fu venduta ad una ricca famiglia Sassarese alla quale, però nel 1956, fu espropriata dallo Stato con pretestuosi motivi.  M.G.



Interventi ristrutturativi
A cura di Antonio Carta



Interventi ristrutturativi sulla chiesa di S. Michele di Plaiano. In quest'ultimo secolo la chiesa è stata oggetto da parte dei vecchi proprietari di diversi atti vandalici dei quali i più importanti sono sicuramente la mutilazione dell'abside e l'addossamento sul fianco meridionale di edifici di nuova costruzione, che sono tutt'ora visibili. questi ultimi furono costruiti probabilmente nei primi anni del secolo dal Credito Fondiario Sardo proprietario del monumento e dal Sig. Parmeggiani, affittuario della chiesa e delle sue pertinenze, il quale nel 1902 fece ripristinare il tetto e divise l'aula in due piani per mezzo di un solettone per le necessità della sua azienda. In questa circostanza furono obliterate le monofore originarie e probabilmente fu demolita anche l'abside ( Costa 1907. p.280 ASS. ). Questa suddivisione era presente ancora nei primi anni quaranta, quando la chiesa , allora di proprietà di una facoltosa famiglia Sassarese, veniva utilizzata come magazzino , ricovero attrezzi e bestiame; infatti proprio a causa di quelle destinazioni d'uso versava in pessime condizioni. Tale stato di degrado fu denunciato Al Ministero dell'educazione Nazionale dal Soprintendente ai Monumenti e alle Gallerie della Sardegna con una lettera datata il 27 luglio del 1942, dove si faceva presente la necessità di un intervento immediato dello stesso Ministro, con una notifica di pregio, che avrebbe posto il monumento sotto la responsabilità della Soprintendenza. L'edificio nonostante il vincolo ( D. M. 12 ottobre 1942 ) continuò ad essere utilizzato a proprio beneficio ancora per parecchio tempo. Nel 1948 come indica una lettera inviata dalla prof.ssa Zanetti alla Soprintendenza ai Monumenti e Gallerie Di Cagliari, la chiesa veniva ancora utilizzata come magazzino agricolo, tuttavia l'allora proprietari si dimostrarono favorevoli all'accettazione della richiesta di cessione a favore del culto purché gli venissero costruiti alcuni caseggiati di uguale cubatura. Ma nel 1953 per timori di altri danni, la Soprintendenza ai Monumenti e Gallerie di Cagliari si attivò e nel 1956 ottenne dal Ministero della pubblica Istruzione che la stessa e gli edifici annessi venissero espropriati e fosse stabilita anche un area di rispetto. In questa parte posteriore vediamo una casetta costruita in aderenza alla chiesa .

domenica 21 settembre 2014

"IL MARCHESE DI SUNI"


A CURA DI MARIO GRIMALDI











Con questo eccellente ritratto, opera di Mario Paglietti, è stato immortalato NICOLO' PALIACHO' (poi PALICI) di Suni, nato a Sassari nel 1886 figlio primogenito del Marchese della Planargia Ammiraglio Don Gavino (e di donna Concetta Mele), Conte di Sindia vivente il padre e poi Marchese della Planargia. Tale titolo gli venne contestato di cugini Cugia di Sant'Orsola che lo rivendicavano proprio. Nell'attesa che la vertenza si chiudesse il Re concesse a Don Nicolò il titolo di "MARCHESE DI SUNI", che più tardi, ottenuto il riconoscimento dei titoli della Planargia e di Sindia venne tramutato in predicato nominale. Contestualmente l'antico cognome Paliachiò venne modificato in Palici o meglio in Palici di Suni. Con questo cognome egli e i suoi discendendi erano e sono noti a SASSARI.


Don Nicolò svolse l'avvocatura ma fù anche impegnato nell' attività industriale in società col cognato Don Antonio Ledà d' Ittiri.
Nel servire la patria fu ufficiale di complemento (forse cavalleria), di idee liberali e notoriamente generoso e della sua generosità usufrui tantissimo un suo attendente che fece stabilire a SASSARI investendolo di un importante ruolo lavorativo presso "IL CIRCOLO SASSARESE" del quale fu per moltissimo tempo il Presidente.
Sassari lo vide sposo di Donna Vincenza Ledà Toufany dei Conti di Ittiri dalla quale ebbe cinque figli. E' morto a Sassari, dove è sepolto nella Capella di famiglia nel cimitero monumentale, nel 1939. Fu un uomo energico dall'espressione grave e austera.
(da una recensione di Mario Grimaldi).Don Nicolò svolse l'avvocatura ma fù anche impegnato nell' attività industriale in società col cognato Don Antonio Ledà d' Ittiri.
Nel servire la patria fu ufficiale di complemento (forse cavalleria), di idee liberali e notoriamente generoso e della sua generosità usufrui tantissimo un suo attendente che fece stabilire a SASSARI investendolo di un importante ruolo lavorativo presso "IL CIRCOLO SASSARESE" del quale fu per moltissimo tempo il Presidente.
Sassari lo vide sposo di Donna Vincenza Ledà Toufany dei Conti di Ittiri dalla quale ebbe cinque figli. E' morto a Sassari, dove è sepolto nella Capella di famiglia nel cimitero monumentale, nel 1939. Fu un uomo energico dall'espressione grave e austera.
(da una recensione di Mario Grimaldi).
Don Nicolò svolse l'avvocatura ma fù anche impegnato nell' attività industriale in società col cognato Don Antonio Ledà d' Ittiri.
Nel servire la patria fu ufficiale di complemento (forse cavalleria), di idee liberali e notoriamente generoso e della sua generosità usufrui tantissimo un suo attendente che fece stabilire a SASSARI investendolo di un importante ruolo lavorativo presso "IL CIRCOLO SASSARESE" del quale fu per moltissimo tempo il Presidente.
Sassari lo vide sposo di Donna Vincenza Ledà Toufany dei Conti di Ittiri dalla quale ebbe cinque figli. E' morto a Sassari, dove è sepolto nella Capella di famiglia nel cimitero monumentale, nel 1939. Fu un uomo energico dall'espressione grave e austera.
(da una recensione di Mario Grimaldi).




SASSARI SAGRA DELL'UVA,.


A cura di . Paolo Grindi


"PROTESTA STUDENTESCA "

A cura di Giovanna Sale


Manifestazione studentesca: Sassari Piazza d'Italia...








Quando noi giovani studenti potevamo ancora credere al potere della protesta nella motivata speranza di un futuro certo.....
Io sono la prima a sinistra con i grandi occhiali e la bandiera..Chi sa quanti di voi si riconoscono nella foto!


"LA STORIA APPARTIENE A TUTTI"

A CURA di Mario Grimaldi

La storia non è fatta solo dalle guerre, dagli intrighi,dagli uomini illustri, dagli eroi, dai nobili, dal clero, dai condottieri, dai principi e dai re, ma anche da piccoli aneddoti e ricordi di cui ognuno di Noi si è arricchito nel corso della vita. Ricordare, dunque, anche episodi insignificanti dei nostri trascorsi ci rende più consapevoli del fatto che "non si vive soli" ma anche e soprattutto si vive in mezzo agli altri. Sono gli intrecci delle esperienze di tutti che "costruiscono" la storia dell'umanità. 
A volte guardare un immagine, che come in questo caso, ci ricorda un mezzo di trasporto, quale la Vespa, che ha fatto epoca, ci fa riflettere e ci rende orgogliosi nel poter dire: c'ero anch'io....

"ET DEINDE"

sabato 20 settembre 2014

Rassegna Arte Sacra

Da non perdere - 27, 28, 29 settembre 2015
Un post-invito di Alessandro Ponzeletti.
"Lunedì 29 settembre alle ore 19.30 a San Michele di Plaiano, in occasione dei festeggiamenti nell'abbazia romanica, si terrà la presentazione del volume "Platamona 1951-2014 - Nascita e declino", scritto con la preziosa collaborazione di Sara Depaolini (capitoli dell'ambiente e del possibile rilancio con proposte progettuali) e di Nino Tavera (ricerche d'immagini d'epoca e di documentazione d'archivio)



COMBATTENTI DELLA GRANDE GUERRA 15 - 18









                                           
A CURA DI Antonio Tolu

Sono foto di ex combattenti sassaresi della Grande Guerra (15-18), in divisa da internati. Sono stati fatti prigionieri nella disfatta di Caporetto e rinchiusi nel campo di prigionia di Wittemberg, ove vi rimasero per circa 1 o 2 anni. Ho certezza che sono rientrati a Sassari tutti sani e salvi. I loro nomi:

1- PASCHINO Antonio, sul retro: Via S. Apollinare nr. 18 (SS). "Ricordo di
Wittemberg - 1918 GERMANIA";

2- USAI Gavino, sul retro: via Moscatello - Vicolo chiuso, (SS), “un ricordo di
Wittemberg - 1918 – Germania";

3- Vito TAVERA, sul retro: “ il sacrificio per la patria, vittima del tradimento,
Caporetto - Michele Oppo. Wittemberg 30 ottobre 1917-gennaio 1919".
Costui appare il più giovane del gruppo, potrebbe essere uno di quei ragazzi
del ‘99 o ‘900.- non è riportato nessun indirizzo.

4- OGGIANO Federico, sul retro: Via Maddalena nr. 60 (SS) SARDEGNA, con la
dedica. “Dedico al caro compagno OPPO Francesco questa memoria ricordando il
tempo trascorso in Germania - Wittemberg 15-11-1918".

Sono entrato in possesso di queste foto, vecchie di quasi un secolo, in occasione della richiesta di riconoscimento come ex combattente di mio nonno materno FADDA Giovanni Maria, classe 1888, anche lui caduto in mano del nemico austro ungarico insieme ai sopra citati (OGGIANO, USAI, PASCHINO, TAVERA), e a OPPO Francesco di Ghilarza. Le foto mi sono state concesse dai parenti del combattente OPPO per dimostrare alle autorità competenti il lungo periodo di prigionia trascorso da mio nonno a Wittemberg. Il paradosso è stato che mio nonno, in un primo momento era stato dichiarato DISERTORE,?!?!?!?!?! e condannato a 7 anni di prigione per essere poi riabilitato (1921).
Non so se tutti questi ex combattenti appartenevano al 152° Reggimento Battaglione Fanteria di Sassari, mio nonno SI.
In due foto si può leggere (in basso a SX) il numero assegnato loro al momento dell’ingresso sul campo di prigionia e riportato da tutti sul petto. Lo si può leggere in retrospettiva con uno specchio.


giovedì 18 settembre 2014

Don Simone Deliperi - Sassari -


A CURA DI: Mario Grimaldi.




La  discendenza  dei DELIPERI può esser tracciata a partire da Vincenzo e Simone (germani), che vissero nella prima meta del millecinquecento, ognuno di essi fu l'iniziatore dei due rami nei quali si divise la famiglia.
I due fratelli che diedero origine alle due genealogie erano Simone e Vincenzo:
SIMONE che fu giurato in Sassari nel 1537 era padre di due figli, il primo si chiamava Francesco che sposò una De La Bronda (la discendenza di questo si estinse nel diciassettesimo secolo); il secondo era Simone II sposato con una Paliacio. I suoi discendenti furono fregiati del cavalierato ereditario nel 1559 e ottennero la nobiltà nel 1600. Durante lo scorrere dei secoli costituirono altri rami, vivendo principalmente a Sassari, in quel di Bonorva ma anche in altri paesi.

VINCENZO il suo ramo fu il primo di quelli feudali familiari.; ebbe un altro figlio che si chiamava, anch'esso Vincenzo (i discendenti di questo si trasferirono a Cagliari e vi rimasero fino alla morte dell'ultimo col quale si estinse il ceppo). 
Il secondo era Andrea che fu l'iniziatore dei DELIPERI GODIANO.
Il terzo, Giovanni che rimase a Sassari (nel 1599 cavaliere e nel 1600 nobile); uno dei suoi figli chiamato Cristoforo sposò una CASTELVì' , ereditò la baronia di Sorso ma la sua discendenza si estinse nella prima metà del secolo diciassettesimo. 
Allora il ramo discendente da VINCENZO, durante il corrente sec. XVII , si arrogò il diritto della successione scatenando una intricata vertenza giudiziaria. Andrea continuò a risiedere a Sassari e i uoi nipoti nel 1630 ottennero il riconoscimento del titolo nobiliare: da uno di loro, quel Gavino, si ebbe la discendenza diretta di MARIA TERESA (era ricchissima), che nel 1789 ebbe in possesso il marchesato di Busachi., feudo che venne acquistato per la somma di 66.000 scudi sardi; versò in contanti la metà dell'importo ma dopo alcuni anni non fu più in grado di onorare le successive rate ed il fisco reale provvide all'avio dell'iter per la confisca del tutto. Ma la marchesa , che nel frattempo era convolata a nozze con Stefano Ledà, ebbe a resistere nel giudizio finché, nel 1800 raggiunse un accordo con il quale cedette al fisco una parte del feudo:
(Dovette cedere Fordongianus e Villanova Truschedu ma conservò il titolo e Busachi).






mercoledì 10 settembre 2014

Ogni angolo ci racconta un po di Storia.


A CURA DI: Mario Grimaldi


La nevicata del 56 a Sassari in Largo Cavallotti. 

  
Sassari vicolo Filippo Massidda


"ALLA SCOPERTA DEL PALAZZO DELLA PROVINCIA"

A Cura di Tino Grindi


"ALLA SCOPERTA DEL PALAZZO DELLA PROVINCIA"
Dopo il successo registrato lo scorso anno con le sei passeggiate nel centro storico guidate dall’architetto Vico Mossa e le cinque visite al museo “Sanna” illustrate dalla dottoressa Fulvia Lo Schiavo, sovrintendente ai Beni archeologici, nei giorni scorsi ho proposto ai sassaresi la “scoperta” del Palazzo della Provincia: sono state offerte due possibil...ità, nelle mattinate di domenica 16 e domenica 23 febbraio, parlo del 1995.
È stato così possibile far conoscere, oltre alla storia del Palazzo, bellissima quinta che delimita la piazza facendo pendant col Palazzo Giordano, il mirabile salone dello Sciuti, così detto per gli affreschi che vi ha dipinse il pittore catanese Giuseppe Sciuti.
Le visite sono state organizzate grazie alla gentile disponibilità del presidente dell’Amministrazione provinciale onorevole Pietro Soddu e sono state illustrate con la consueta e riconosciuta competenza dal professor Manlio Brigaglia.
Tutti coloro che sono convenuti al palazzo, ed erano ben numerosi, hanno potuto godere la vista delle preziose opere che questo conserva, in particolare la sfarzosità del Salone dello Sciuti e il dettaglio degli affreschi: momenti della storia d’Italia in epoca romana e nel Medio Evo, la lotta tra il Papato e l’Impero, le Crociate, i Comuni e, infine, l’ingresso trionfale a Roma di Vittorio Emanuele II, dietro il quale si intravedono il fumaiolo di una locomotiva e un filo intorno a una figura femminile che rappresenta l’Italia, quasi a significare la nuova era dei trasporti ferroviari e del telegrafo.
Altri dipinti presenti nel salone presentano la storia della Sardegna nei periodi cartaginese, romano, medioevale e moderno; vengono poi quelli dedicati a figure allegoriche quali la Giustizia, la Verità, la Fortuna, la Fama, la Sapienza, la Forza, la Civiltà, la Barbarie, la Libertà e la Schiavitù.
Né si possono dimenticare gli imponenti dipinti posti all’inizio e alla fine del Salone per ricordare due importanti momenti della storia di Sassari: la firma della Convenzione del 1294 fra Sassari e Genova con la quale nacque la repubblica sassarese e l’ingresso a Sassari di Giovanni Maria Angioy nel 1796.
I sassaresi che, accogliendo l’invito, sono convenuti nel palazzo, hanno potuto ammirare oltre a questo salone, alcune altre sale ricche di decorazioni e dipinti di famosi pittori nazionali dell’Ottocento, oltre ai magnifici arredi realizzati negli stabilimenti della rinomata falegnameria Clemente in occasione della visita del 1899 dei sovrani Umberto e Margherita.
Un patrimonio prezioso che ha destato autentica meraviglia non solo in chi non aveva mai avuto l’occasione di visitarlo ma anche in coloro che lo avevano già fatto; e questo è dovuto alla sapiente e dettagliata illustrazione fatta dal professor Brigaglia.