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venerdì 23 settembre 2016

"FARADDI LI CANDARERI A FORA LI BRASGERI"


A CURA DI MARIO GRIMALDI


“Fallu Baddà”


Si inizia il mattino del 14 agosto, di buon ora, ogni Gremio ritira, dalla cappella della propria sede, il candeliere e lo trasferisce presso l’abitazione dell’ Obriere dove si inizia la vestizione che avviene in allegria, a suon di piffero e tamburo. Tutto sotto gli occhi degli astanti, che tra un buon bicchiere di birra o di vino annaffiano gustosi antipasti (olive, salsiccia, formaggio - possibilmente marcio), mentre nulla sfugge del tradizionale rito, agli occhi colmi di curiosità. Già dal primo pomeriggio i candelieri, addobbati di tutto punto, (qualcuno a braccia, altri in moto carrozzella o su un furgoncino) vengono trasferiti in Piazza Castello - luogo di raduno - in attesa dell’inizio della "faradda", che generalmente ha inizio intorno alle ore 18/18,30. Tra il gran fragore degli spettatori, una enorme fiumana di persone, che si articola per tutto il corso Vittorio Emanuele, dopo aver attraversato Largo Cavallotti, per proseguire successivamente per Corso Vico e fino alla meta finale di Piazza Santa Maria, i CANDELIERI di nastri e bandierina vestiti, sfilano portati dai coloriti portatori che si esibiscono in faticosi balli diventando oggetto di fotografi dilettanti ma anche di veri professionisti impegnati ad immortalare la festa più grande e sentita a Sassari. 
In tarda serata, tra un “FALLU BADDA” e un “ohoh….ohoh.. ooo”, arrivano a Santa Maria, dove, davanti alla chiesa continuano le loro evoluzioni e balli. Ed è, infine , il momento di entrare in chiesa per lo scioglimento del voto; i “CERI” saranno disposti intorno al cataletto della Vergine dormiente, mentre la cerimonia di preghiera si conclude con la benedizione. L’ingresso in chiesa si svolge, col massimo rigore, in ordine inverso rispetto a quello di sfilata che, fino all’ultimo scorso anno era il seguente - <(quest’anno 2016 è stato ammesso alla sfilata un altro candeliere (quello dei macellai che dopo aver salutato presso la chiesa del Rosario la Madonna e acquisita la benedizione dal Vescovo sarà il primo a iniziziare la "faradda") > -

FABBRI, PICCAPIETRE, VIANDANTI, CONTADINI, FALEGNAMI, ORTOLANI, CALZOLAI, MURATORI, SARTI, MASSAI.
COMPITO DELL’ULTIMO CANDELIERE , QUANDO ARRIVA DAVANTI AL CIVICO (ANTICO PALAZZO DI CITTA’), DOVE IL SINDACO ATTENDE, E’ QUELLO DI ENTRARE NEL PALAZZO, DOVE SCAMBIA LA PROPRIA BANDIERA CON IL GONFALONE DEL COMUNE, ADEMPIENDO AL COSIDDETTO RITO “DELL’ INTREGU”; SI BRINDA " A ZENT'ANNI", E SI SI INVITA IL SINDACO AD UNIRSI AI CANDELIERI NELLA SFILATA.

Un’altra curiosità riguarda il Candeliere dei Muratori che quando arriva in prossimità della chiesa di Santa Maria, In Corso Vico devia il suo percorso in direzione di quello spiazzo dove in antichità si trovava uno degli accessi alla città (Porta Uzzeri): qui esegue un ballo finalizzato a bloccare, in termine simbolico, un eventuale nuovo tentativo, da parte della peste, di entrare in città.( Si dice che l’ultima vittima della peste, in Sassari, sarebbe uscita,per l’appunto, dalla porta ubicata in detto sito di Largo Porta Uzzeri).
(mariogrimaldi)

DAI RICORDI ESTIVI DI UNA SASSARI DI ALLORA
<LA FESTHA MANNA> 

“Non c’è un sassarese che d’agosto non senta un tempo nuovo maturare e col tempo, il gusto, una sete di godersi la vita per le strade. E adesso era Ferragosto, i Candelieri, la Festa Manna. 

Un nostro concittadino (poteva essere ognuno di noi) saliva contro corrente, lungo il Corso affollato di gente che andava in qua e in la, accaldata e sorridente, frenetica non appena un tamburo da un angolo a dal fondo dell’imbuto che pareva il Corso a quell’ora faceva vibrare le finestre e oscillare i drappi, le cortine, i tappeti esposti sui davanzali. Benito (chiameremo così il nostro amico e concittadino) saliva dunque, innamorato di quella gente e di quel chiasso di pifferi e tamburi, attento a scorgere se in alto si vedesse la fiamma del candeliere più antico. Lungo il Corso, oltre il palazzo di Città coi balconi bardati come puledri e le guardie in montura sul portone, la gente diventava folla, siepe umana addensata ai lati, contro le vetrine di Spillo, di Dallay, del Bar Peru, di Bonino, di Trombelli e, più in alto del vecchio Margelli, contro le vetrine della Ditta Rossetti <casa fondata nel 1870>. Il suono dei pifferi , il rullo dei tamburi dal Largo Cavallotti si ampliava in Piazza Azuni, si gonfiava come se il vento suonasse nelle canne o sui cuoi consunti, come se gli stendardi verdi rossi gialli e i cappelli degli obrieri, le code delle redingote e persino l’elsa delle spade dei Viandanti e dei Carrolanti fossero anch’esse piene di musica, di un vento aspro e forte degli umori degli orti delle vigne dei giardini.


I Candelieri avanzavano fra l’ondeggiare delle frasche e il dipanarsi dei festoni azzurri rosa verdi e gialli inchiodati ai Candelieri dipinti e traballanti portati a spalla da squadre di giovani frenetici che marciavano al ritmo del tamburo e del piffero, incrociando il passo, ruotando ora a destra ora a sinistra, più avanti più indietro, in alto, in basso, in ginocchio, fino al ballo più importante dinnanzi al balcone dal quale il sindaco irraggiungibile e irreale agitava la mano in un saluto che si perdeva tra i fumi e i vapori di tutta quella agitazione. Scendevano come ogni anno verso il grano dei Massai, verso gli ulivi cerulei e le mole dei frantoi di Godimondo e di Via La Cona, verso il grigio verde del letame, che profuma fin dalla soglia di Santa Maria di Bethlem. Benito gli andava incontro estasiato, coi sensi aperti a quelle fragranze ,a quelle voci, a quei suoni ch’erano il passato e il presente della sua città."





martedì 9 agosto 2016

I CANDELIERI NEL PASSATO E NEL FUTURO


A cura di:

Mario Grimaldi (per il testo)

Capitano Musica (per la grafica)



Come tutti sappiamo, quella dei Candelieri, è una processione che si svolge a Sassari alla vigilia della festa dell’Assunta il 14 di agosto.Ha origini antichissime e si festeggiava nella chiesa di Santa Maria di Betlem dove per otto giorni la statua dell’Assunta, calzata d’argento, veniva esposta sopra un letto attorniato da grossi ceri, pronta per il transito in cielo (la cosiddetta “Dormitio Virginis” , che si vuole derivata da costumanze culturali bizantine).All’ottavo giorno, alla presenza dei consiglieri della città e di una gran massa di popolo festante, entravano nella chiesa OTTO candelieri e dodici personaggi che rappresentavano i dodici apostoli. Dopo la cerimonia religiosa i candelieri sfilavano nelle vie della città. I candelieri, detti anche “colunna incoronada”, hanno sostanzialmente mantenuto nel tempo la loro struttura lignea (altezza intorno ai tre metri); sono costituiti da tre parti: la base, il fusto cilindrico e il capitello superiore decorato cui si attaccano i nastri; i nastri di seta, lunghi 7-8 metri, sono tenuti tesi da bambini, in modo che il sole, battendovi sopra, li faccia brillare al vento.I candelieri sono portati a spalle o a braccia da portatori, vestiti con camicie diversamente colorate a seconda del Gremio di appartenenza, il compito di questi portatori è ,anche, quello di farli “ballare”, agitandoli al ritmo di brevi, veloci girotondi accompagnati dal suono del piffero e del tamburo. < Li candareri so baddariani > ha scritto in un suo verso il maggior poeta sassarese del Novecento, Salvator Ruiu: per tradizione, infatti, quanto più è “ballerino” il candeliere tanto più sarà propizia l’annata agraria che verrà. Ogni Gremio - cioè ognuna delle antiche corporazioni di arti e mestieri che hanno diritto a sfilare in processione e a sciogliere il voto all’Assunta, fatto alcuni secoli fa - ha il suo candeliere dietro al quale sfilano, in pompa magna, i loro componenti. L’itinerario della processione è rimasto immutato nel tempo: dalla chiesa del Rosario e da Piazza Castello (lu pianu di castheddu) sfilano ondeggianti tra la folla scendendo (La Faradda) per tutto il Corso Vittorio Emanuele (Piazza) Giunti all’antico Palazzo di città (Civico) i rappresentanti del Gremio più prestigioso, quello dei Massai (proprietari contadini) ricevono la bandiera dal sindaco il quale, dopo aver brindato insieme a loro (“ A Zent’anni”) si unisce alla processione. E’ questo un momento di grande intensità, perché dal comportamento della folla si valuta la popolarità del primo cittadino in base ai fischi o agli applausi. Da qui inizia così la discesa dei candelieri lungo la parte finale del Corso Vittorio Emanuele fino a Porta Sant’Antonio e poi alla chiesa di Santa Maria, dove è la madonna giacente. Prima di entrare nella chiesa, i candelieri si schierano nello spiazzo sottoponendosi a un altro rapido rituale, in cui dalla folla (in genere giovani e ragazzi detti “Baggiani” e “Cuglietti” ) vengono strappati “li betti” cioè i lunghi nastri di seta variopinti che scendono dall’alto dei candelieri. Quindi i “ceri” entrano in chiesa secondo un ordine prestabilito disponendosi attorno alla statua Mariana rendendo omaggio con un inchino all’ arcivescovo e al clero. Dopo la cerimonia religiosa i rappresentanti del Gremio dei Massai accompagnano il sindaco e i consiglieri in Comune, dove tra brindisi e rinfreschi la celebrazione continua. La tradizione, che si rinnova tutti gli anni, ha origini antichissime, ed è legata allo scioglimento di un voto fatto in occasione dell’improvvisa cessazione di una peste, probabilmente nel secolo XVI, anche se non è da escludere che i candelieri abbiano un’origine ancora più antica: è stato notato, infatti, che una cerimonia simile, anch’essa in onore dell’Assunta, si svolgeva a Pisa ed esisteva ad Iglesias, città “ pisana “ per eccellenza. La cerimonia così come si presenta oggi potrebbe esser frutto non solo di una evoluzione del rito attraverso il tempo, ma anche di un rinnovamento connesso al voto o a una sua iterazione (dal secolo XVI al XVII, gli anni delle grandi epidemie di peste nell’isola).”””


< La festa dei candelieri si svolge in onore dell’Assunta anche a Ploaghe e a Nulvi con modalità divese e con tre soli candelieri (di foggia diversa e di mole maggiore). Inoltre, non è da molti anni che la stessa celebrazione ha ripreso anche a Iglesias dove, come si è accennato, nel Medioevo si svolgeva una festa di origini pisane.
@mariogrimaldi.

domenica 7 agosto 2016

I GREMI - Di Mario Grimaldi





I GREMI 


Le Corporazioni d'arti e mestieri ha origini molto antiche, nessuno poteva esercitare un mestiere se non era iscritto alla Corporazione, nè intraprendere un lavoro o aprire un'attività senza prima aver superato un esame, e senza aver fatto in precedenza un lungo tirocinio per essere dichiarato Maestro. La parola "Gremio" è di origine catalana e, la parola Gremio si usava per adunanze, riunioni di persone, per lo più a scopo religioso. Si faceva molto spesso una confusione tra maestranza, confrarie e gremi; tanto è vero che nei documenti (Ordinazioni) di Sassari non si parla mai di Gremio, ma sempre di Confraria, mome che è rimasto fino ad oggi alle sole Confraternite religiose. Mi fermo qui per darvi modo di parlarne anche voi. Nella foto sono rappresentati 13 gremi,













La Charta De Logu - Di Mario Grimaldi






La Charta De Logu - Di Mario Grimaldi


Nel 1369 Mariano d’arborea innalzò ancora una volta il vessillo dell’indipendenza sarda. Attacco SASSARI e la occupò. Vi rimase fino al 1371, come restauratore del regime dei Giudici. Gli storici riferiscono timidamente che in quegli anni Mariano, consultati gli STATUTI SASSARESI, compilò la “Charta De Logu” o Codice di leggi aderenti al “modus vivendi” sardo. Il re di Aragona non ricorse alla guerra: Diplomaticamente concesse a Mariano privilegi speciali e il diritto di governare il Giudicato di Arborea come un viceré isolandolo negli stretti confini del campidano oristanese. A SASSARI, espulsi sos sardos, la popolazione cominciò a trasformarsi in una società nuova sotto la pressione dell’organismo politico degli stamenti: militare, reale, ecclesiastico. Alta società: i nobili e i ricchi rappresentavano lo stato militare, i membri del Consiglio e i funzionari del Comune, i professionisti, lo stato reale; il Clero secolare e regolare, lo stato ecclesiastico. Alta società sotto l’egida del Governatore - Riformatore, munito del potere assoluto militare e giudiziario, con la su Corte e Guardia del Corpo. Emblema: IL CASTELLO. Il popolo, composto da famiglie di agricoltori e artigiani più o meno benestanti e da famiglie di Giorgi senza arte ne parte, ondeggianti tra la miseria e povertà, rappresentava la società bassa, che o per opportunismo o malcelata ambizione si atteggiava ad alta società con i Gremi o con le confraternite, respingendo in qualche modo i “Giorgi” o la bassa forza al livello dei “sottogremi” e delle “sottoconfraternite”. Così nella cityta alta il Castello, lo stamento militare; a metà della “gran via” (Platha) , lo stamento reale, e il Duomo e le altre chiese, lo stamento ecclesiastico; nella città bassa: il Rosello e quattrocento fontane con Re Giorgio e la Corte dei Gremi, sottogremi, le confraternite e sottoconfraternite. 






giovedì 19 maggio 2016

Speciale Cavalcata 2016


A cura di : Mario Grimaldi
Tra qualche giorno, precisamente domenica 22 maggio, Sassari sarà animata dall'annuale edizione della "Cavalcata Sarda", quindi approfittiamo dell'occasione per ricordarne brevemente alcuni cenni storici:
E’ una grande rassegna del folclore sardo, le sue origini sono tratte dalla necessità di mostrare ai “forestieri” i costumi dei paesi interni. Un evento del genere si ebbe già nel 1771 per onorare Filippo V° e ancora nel 1899 per omaggiare re Umberto I° e la regina Margherita. 
La cavalcata ha assunto carattere stabile nel 1951 per iniziativa del Rotary sassarese che, in concomitanza con l’aumento del flusso turistico, si prestò per offrire ai turisti di oltre tirreno una rassegna di quanto di meglio la Sardegna potesse offrire nel campo dei costumi tradizionali e degli usi popolari. Tutti conosciamo i tre distinti momenti in cui si articola la giornata: al mattino sfilata per un percorso cittadino determinato precedentemente e in cui si possono ammirare i più svariati abbigliamenti e non solo, ma anche degustare dolci, frutta, formaggio etc., tutti prodotti tipici delle nostre provincie; nel pomeriggio, presso l’ippodromo cittadino (Ip. Pinna), il palio “CITTA DI SASSARI”, qui si esibiscono i cavalieri provenienti da tutta la Sardegna nelle spericolate e spettacolari “PARIGLIE”; infine, con inizio nel tardo pomeriggio, nel salotto sassarese di Piazza d’Italia si aprono le danze (che si svolgono su un palco organizzato per l’occasione) e dunque a suon di organetti, che accompagnano i canti proposti in tutti i dialetti, il ballo sardo si protrae sino a tarda notte.

Tutto l' insieme degli eventi sono stati, anche dalla nostra generazione, abbastanza apprezzati: da studenti non ci si sottraeva alla piacevole consuetudine allorché fin dalle prime ore del mattino, le nostre "greffe" invadevano i grandi cortili e le aule della scuola elementare di San Giuseppe - luogo dove si radunavano i componenti dei gruppi folcloristici provenienti da tutta l'isola - Molti partecipanti arrivavano in città addirittura nel pomeriggio della vigilia; allora "LI BAGGIANI" non disdegnavano di procurarsi amicizie, specialmente femminili, belle ragazze adornate da meravigliosi monili, di festa vestite dei loro abiti tradizionali. Occasione ghiotta, ma l'impresa spesso e volentieri era destinata a risolversi nella più grama delle delusioni. Le "bellezze folcloristiche", tipiche, non davano peso alle insistenti insidie dei loro spasimanti, anche perché o già impegnate sentimentalmente o perché ben catechizzate dalla comprensibile diffidenza, nei nostri confronti, dai loro accompagnatori più saggiamente navigati. 
Ma non vi erano solo le ragazze: odori diversi, provenienti dalle innumerevoli bancarelle allestite per l'occasione e che commerciavano prodotti alimentari (dolciumi, frutta, carne e pesce arrostiti ad oc... etc.) si espandevano per tutte le strade. I cavalli, i loro conduttori, le affascinanti amazzoni adagiate con grazia e con i loro variopinti vestiti che coprivano la parte posteriore della groppa dell'animale, erano un'attrazione di sicuro interesse, persino gli odori emanati dalle bestie erano tipicamente piacevoli.
Non mancava qualche zuffa dovuta principalmente alle reazioni provocate dalle abbondanti libagioni, ma si costruivano anche durature amicizie e addirittura si è spesso giunti (per casuale conoscenza in quel contesto) a convolare a nozze. - Un paio di miei amici hanno conosciuto e si sono innamorati proprio in quella "galeotta occasione" e tutt'oggi vivono felicemente con le loro belle "forestiere".

Dulcis in fundo: è doveroso non dimenticare che in questa occasione è possibile apprezzare quei beni orali identitari: i meravigliosi CANTI A TENORES originali e di stile corale che focalizzano l'attenzione in tutto il mondo, tanto da esser considerati bene intangibile tutelato dall' UNESCO.
<<(molte delle immagini, che saranno parte integrante di questo post, sono state adeguate ai temi trattati dall'abilità grafica del mio amico 

grazie per l'attenzione.
@mariogrimaldi.


martedì 27 ottobre 2015

Racconti: IL TAVOLO DEI MORTI

A cura di Elisa Casu

Luisigheddu si divertiva a far girare la vecchia marroccula (trottola in legno) sul tavolo di cucina, intorno alla candela che ogni volta che la vedeva roteare minacciosa sembrava la volesse schivare abbassando improvvisamente la sua calda fiamma per poi risollevarsi con orgoglio. Al vecchio orologio a pendolo appeso sopra la cappa ingrigita del camino mancavano ormai pochi minuti alle 6, e proprio al primo rintocco ecco che il bambino sentì girare la chiave nella pesante serratura della porta e come una saetta corse incontro fra le braccia stanche della mamma, che anche quel giorno aveva terminato la giornata di lavoro dai signori Matilde e suo fratello Antonio. “Mà, ma itte m as battidu oe?” (Mamma cosa mi hai portato oggi?) E cosi dicendo rovistava avidamente nella tasca del grembiule nero a fiorellini bianchi della mamma.La donna facendosi cadere pesantemente sulla sedia di paglia di fronte al camino, tolse da sotto lo scialle marrone un piccolo melograno, che illuminato dal bagliore delle fiamme nel camino mostrava il suo sorriso facendo un pò rabbrividire il bambino, in fin dei conti mancava ormai poco a sa die de sos mortos (il giorno dei morti).E mentre insieme alla mamma sgranavano il succoso frutto, con le mani rosse il bambino faceva cadere in bocca i semi di melograno e intanto chiedeva curioso quando avrebbero apparecchiato per i morti.La mamma sorrise, passandogli fra i capelli spettinati la sua mano ancora nera del lucido da scarpe che signor Antonio si ostinava a farle usare quasi ogni giorno pro sos cambales, orgoglio di una ricchezza e di uno sfarzo che ormai appartenevano già al passato.

Diaulu e presse fizzu mè, a crasa aisetta (Non aver fretta figlio mio, aspetta a domani).Signora Matilde, la signora presso la quale lavorava la donna, non si era mai sposata, nonostante fosse una gran bella donna, di lei infatti si diceva che da ragazza avesse i capelli più lunghi e lucenti fra tutte le ragazze del paese, folti e resistenti come una criniera di cavalla, e proprio come una cavalla era il suo carattere che nessun cavaliere riuscì mai a domare. Si parlava però di un soldato che durante la guerra si innamorò di lei, giurandole eterno amore e chiedendola in sposa prima di partire al fronte. Di signor Antonio, suo fratello, nessuno osava immaginare come un uomo cosi avido potesse aver avuto mai un amore, la gente a cui faceva firmare le cambiali vedeva in lui più che altro una sanguisuga che succhiava dalla disperazione della gente la poca dignità rimasta.Ma agli occhi di Luisigheddu i signori brillavano non tanto per i loro animi quanto per l’argenteria della loro villa, i grandi quadri de sos giajos (antenati) appesi nella parete di fronte al grande camino e aspettava il momento in cui avrebbe finalmente accompagnato la mamma a preparare sa banca pro sos mortos nella grande villa (il tavolo per i morti).
Il bambino seduto nella poltrona, approfittava il fatto che i signori portassero i fiori alla tomba di giaju e giaja (i nonni) per poter osservare la mamma che preparava il tavolo rotondo in mogano rossiccio per la notte dei morti.  La donna con gesto deciso spiegava la tovaglia intagliata a piquet, metteva i due piatti di fine porcellana, affiancava i tovaglioli in raso giallo e completava con i calici di cristallo. Non osava chiedere il perché mancassero le posate, sapeva già, mentre un brivido gli attraversava la schiena, il motivo di tale assenza, e ci pensava la mamma ogni volta a ricordarglielo: “Luisighè attenzione a no ponnere sos burteddos o sas forchettas ca sos mortos si poden punghere e punghere puru a nois (Luigino stai attento a non mettere i coltelli e le forchette poiché i morti potrebbero pungersi o pungere noi).Messo al centro il portafrutta a cascata in argento, il lavamano con la pasta asciutta ancora calda, il sigaro toscano ancora incellofanato (sarebbe stato uno spreco aprirlo) e la bottiglia di vino la donna lo guardava ancora un pò a distanza, contenta rimetteva lo scialle marrone sulle spalle e preso per mano il bimbo lasciava la grande casa per avviarsi verso casa, la sua di casetta.Luisigheddu apparecchiava da solo pro sos mortos de domo (i morti di casa), la mamma sapeva che si sentiva l’uomo di casa e lo lasciava fare mentre lo guardava accovacciata nella sedia di paglia rotta dando le spalle al camino.Il tavolo era ben diverso da quello dei signori, ma non meno dignitoso: 3 piatti sbeccati: unu pro giaju, diceva Luisigheddu, unu pro giaja e unu pro bisaja bonanima (uno per nonno, uno per nonna e uno per bisnonna buonanima) In chelu che sian (che riposino in cielo), sospirava in preghiera la mamma.  La tovaglia era ricamata da qualche rattoppo, al centro del tavolo un lavamano cun sos ciccioneddos (gli gnocchetti), fatti con amore dalla donna uno per uno su un vetro spesso a scalanature, dalla tipica forma di conchiglia allungata. Il bambino aggiunse un fiasco di vino rosso, una sigaretta storta dall’anno prima, un pò di latte dentro la tazza di smalto sbeccata, 3 pappassini, un grappolo d’uva bianca e un tozzo di pane.Il bambino soddisfatto diede un ultima controllata in giro, prese lo spiedo appoggiato al camino e lo nascose con cura.

 La mamma lo guardò con approvazione e insieme si stesero sopra il lettone in religioso silenzio dopo aver acceso il lumicino sul piano polveroso del camino. La notte arrivò presto. Il maestrale sembrava capisse che dovevano arrivare numerose visite nelle case del paese, e urlava quasi riecheggiando dei gemiti dei morti, soprattutto quelli dimenticati che arrivavano e trovavano tavoli vuoti e lumicini spenti.La notte la porta della casetta non era stata chiusa a chiave per cui il vento con facilità vi soffiò dentro invitandoli ad entrare.  Per primo entrò giaju, un ometto dalla schiena ricurva dal tanto lavoro svolto sulla terra, e dagli occhi di un verde azzurro che curiosi cercavano intorno, si tolse la ciccia a quadri e mostrò il luccichio del dente d’argento quando sorrise contento guardando il tavolo, e vedendo che non si erano dimenticati di lui. Senza parlare l’uomo si voltò verso la moglie che zoppicando lo seguiva prendendolo a braccetto, anche lei sorrise, tirandosi dietro i ciuffi dei lunghi cappelli neri raccolti in un morbido mogno. Alla fine comparve anche lei bisaja (bisnonna), si avvicinò leggera ai due che dormivano e non potendoli toccare ne volle sentire ancora una volta i loro profumi. Giaju annusò il profumo del vino che tanto amava, e riconobbe che era quello del compare Michelinu cantas buffadas umpare! (quante bevute insieme) pensò. La moglie guardò i polposi chicchi d’uva e il pane posto accanto, quante mangiate de ua cun pane! (di uva con pane)e per ultimo la bisnonna desiderò annusare tanto sa suppa de latte (zuppa di latte). Era già ora di andar via, l’uomo volle ancora rivolgere un ultimo sguardo a quella sigaretta storta che aveva in vita fumato, o meglio diceva la moglie faceva fumare agli altri. I tre prima di uscire, richiamati dal sibilo del maestrale che minacciava di chiudere la porta, guardarono con nostalgia e immenso amore madre e figlio abbracciati sotto la coperta a quadri, la stessa che aveva riscaldato le loro notti e benedicendoli, lasciarono la casa, la loro casa, contenti di non essere stati dimenticati.

Il maestrale provò a bussare alla porta dei signori Antonio e Matilde, vi entrarono in due, un vecchio ben vestito con un cilindro di raso nero in capo e una profonda tristezza che celava i suoi lineamenti, a fianco a lui un giovane soldato, con l’uniforme pesante verde. Il vecchio guardò l’argenteria, osservo i fratelli che dormivano avrebbe voluto dire cosa aspetta a chi è avido, ma non poteva e triste si allontanò senza neanche annusare il profumo della pasta posta al centro del tavolo apparecchiato. Il soldato aveva un bel viso, sorrise osservando con amore la donna che dormiva con a fianco nel comodino la sua foto, l’unica che le aveva lasciato prima di morire al fronte, ma gli bastò per capire che non si era dimenticata di lui. Si avviarono ma mentre lasciavano la casa un gemito forte attraversò lo spirito del vecchio: era la visione di quel sigaro, ancora confezionato. L’avidità del figlio era cosi tanta da non farle assaporare il profumo del Toscano, che tanto amava, unico piacere che si era concesso in vita. Strillò e il gelo di quel strillo riecheggio nella grande e lussuosa casa, svegliò i due fratelli che credettero fosse il miagolio del gatto e lesti si riaddormentarono. Ma quello strazio raggiunse per un attimo anche le case povere intorno alla grande villa, vi abitavano cuori poveri e semplici, che rabbrividirono, si fecero il segno della croce e pregarono con un requiem eterno per quell’anima in pena che ancora in quella grande casa gridava e urlava ogni anno puntualmente il grande dolore e la profonda ferità creata negli animi dall’avidità umana.



lunedì 3 agosto 2015

RICORDI DI ALLORA: " LI CANDARERI"




A CURA DI:  Mario Grimaldi






<LA FESTHA MANNA>

 “Non c’è un sassarese che d’agosto non senta un tempo nuovo maturare e col tempo, il gusto, una sete di godersi la vita per le strade. E adesso era Ferragosto, i Candelieri, la Festa Manna. 
Un nostro concittadino (poteva essere ognuno di noi) saliva contro corrente, lungo il Corso affollato di gente che andava in qua e in la, accaldata e sorridente, frenetica non appena un tamburo da un angolo a dal fondo dell’imbuto che pareva il Corso a quell’ora faceva vibrare le finestre e oscillare i drappi, le cortine, i tappeti esposti sui davanzali. Benito (chiameremo così il nostro amico e concittadino) saliva dunque, innamorato di quella gente e di quel chiasso di pifferi e tamburi, attento a scorgere se in alto si vedesse la fiamma del candeliere più antico. Lungo il Corso, oltre il palazzo di Città coi balconi bardati come puledri e le guardie in montura sul portone, la gente diventava folla, siepe umana addensata ai lati, contro le vetrine di Spillo, di Dallay, del Bar Peru, di Bonino, di Trombelli e, più in alto del vecchio Margelli, contro le vetrine della Ditta Rossetti <casa fondata nel 1870>. Il suono dei pifferi , il rullo dei tamburi dal Largo Cavallotti si ampliava in Piazza Azuni, si gonfiava come se il vento suonasse nelle canne o sui cuoi consunti, come se gli stendardi verdi rossi gialli e i cappelli degli obrieri, le code delle redingote e persino l’elsa delle spade dei Viandanti e dei Carrolanti fossero anch’esse piene di musica, di un vento aspro e forte degli umori degli orti delle vigne dei giardini.I Candelieri avanzavano fra l’ondeggiare delle frasche e il dipanarsi dei festoni azzurri rosa verdi e gialli inchiodati ai Candelieri dipinti e traballanti portati a spalla da squadre di giovani frenetici che marciavano al ritmo del tamburo e del piffero, incrociando il passo, ruotando ora a destra ora a sinistra, più avanti più indietro, in alto, in basso, in ginocchio, fino al ballo più importante dinnanzi al balcone dal quale il sindaco irraggiungibile e irreale agitava la mano in un saluto che si perdeva tra i fumi e i vapori di tutta quella agitazione. Scendevano come ogni anno verso il grano dei Massai, verso gli ulivi cerulei e le mole dei frantoi di Godimondo e di Via La Cona, verso il grigio verde del letame, che profuma fin dalla soglia di Santa Maria di Bethlem. Benito gli andava incontro estasiato, coi sensi aperti a quelle fragranze ,a quelle voci, a quei suoni ch’erano il passato e il presente della sua città.



lunedì 29 giugno 2015

PRENDO LA NAVE E VADO IN CONTINENTE......

E' domenica. Oggi andiamo a comprare le paste. Inoltre arriva lo zio da Torino. Si è imbarcato da Genova e la nave arriva Stamattina a Porto Torres. Non è necessario andarlo a prendere in quanto ha la sua auto. Una Appia nuova fiammante. Chissà cantu è bedda. Ormai siamo troppo avanti. Pensate che c'è una grande GRU in porto, in grado di caricare e scaricare le macchine dalla nave. Aspettiamolo. Appena arriva prendiamo il caffè tutti assieme. Intanto...






domenica 11 gennaio 2015

La CAVALCATA



E quando negli anni 60 c'era l'Evento Cavalcata sarda...... cesss... umbè di jenti. Tutti all'emicicolo... ajò.
modello per frame

mercoledì 13 agosto 2014

Era Festa: "mezzaosthu"



 A CURA DI: Mario Grimaldi

COME TRASCORREVAMO IL FERRAGOSTO? 


Da studentelli non ancora abbastanza grandi per l’esser affrancati dal controllo assillante dei genitori, ma abbastanza cresciuti per assumere decisioni responsabili sul da farsi, in genere ci si organizzava in comitiva (mista) per deliziarci di una giornata al mare: naturalmente Platamona poichè le risorse economiche non erano sufficientemente congrue da poterci permettere spostamenti diversi. Allora la strada che conduceva ad
“Abba Currente” era solo quella stessa che si doveva percorrere per arrivare a Porto Torres, per esser più chiari non esisteva ancora la Buddi Buddi (orrenda denominazione all’insegna della “zerraggagine”). < La strada per Porto Torres era, dunque, in quei giorni, trafficata da automobili e da moto; naturalmente noi la percorrevamo col Vespino o la Lambretta, qualcuno dei più grandicelli col Gilerino o il Guzzino piuttosto che col MOTOBI, ma a a volte anche il CIAO - che naturalmente, a dispetto delle più elementari norme del codice della strada, per l’occasione diventava “biposto”. Un odore di benzina, di nafta si mescolava all’olezzo degli orti, alle folate grasse e dense che dalle serre giungevano sino alla C. Felice. I nostri eroi con la camicia piena di vento, la catenina tra i denti e il ciuffo che per qualche attimo a volte appannava la vista, correvano a testa bassa, risalendo le gobbe del serpente sul ciglio della strada, approfittando di un vuoto, di un sorpasso. La prima lista di mare era già in vista, oltre le terre asciutte e calde di Ottava, oltre le ultime vigne che si spingevano quasi fino alla sabbiosa marina.indiscutibilmente, se la parte del sedile posteriore, come quasi sempre accadeva, era occupata da una bella ragazza,poteva percepirsi l’orgoglio che questa provava per quel ragazzo spavaldo e sicuro; mentre lo stringeva alla vita gli parlava con la bocca contro le pieghe della camicia gonfiate dal vento, lo chiamava per nome, lo mordeva ogni tanto. La strada scorreva ora lungo lo stagno dalle acque verdastre, incorniciato da lunghe canne che salivano dai bordi, grossi alberi si vedevano sull’altra sponda, capanne di frasca, auto in sosta con tende e ombrelloni, qualche casetta in muratura e tantissima gente pareva annunciasse la spiaggia oramai vicina.Sui pini molto alti, mosse dal vento, garrivano le bandiere di Sassari; La rotonda era quasi invisibile poiché coperta era la vista dai pullman, dagli enormi alberi che restringevano la strada. Neanche il mare si poteva vedere ancora, però poteva già respirarsi l’aria più fresca che portava sul viso il profumo salmastro della spiaggia.Ed ecco che, finalmente “posteggiate” le moto tra le dune, si poteva godere del mare che appariva come una coperta stinta, increspata di rammendi all’orlo delle secche, si sfrangiava sulla sabbia nera della battigia dove un millepiedi frenetico si muoveva in tutti i sensi tra ombrelloni colorati, tende improvvisate, specie di capannoni inventati, baracchette di stuoie circondate da cataste incredibili di cassette contenenti bottiglie di birra Peroni, spuma e gazzosa USAI. Pronti per una nuova celebrazione del ferragosto sassarese, pronti, ognuno di noi per una nuova storia, chi sa forse quasi dimenticata... oppure no!