lunedì 3 agosto 2015

RICORDI DI ALLORA: " LI CANDARERI"




A CURA DI:  Mario Grimaldi






<LA FESTHA MANNA>

 “Non c’è un sassarese che d’agosto non senta un tempo nuovo maturare e col tempo, il gusto, una sete di godersi la vita per le strade. E adesso era Ferragosto, i Candelieri, la Festa Manna. 
Un nostro concittadino (poteva essere ognuno di noi) saliva contro corrente, lungo il Corso affollato di gente che andava in qua e in la, accaldata e sorridente, frenetica non appena un tamburo da un angolo a dal fondo dell’imbuto che pareva il Corso a quell’ora faceva vibrare le finestre e oscillare i drappi, le cortine, i tappeti esposti sui davanzali. Benito (chiameremo così il nostro amico e concittadino) saliva dunque, innamorato di quella gente e di quel chiasso di pifferi e tamburi, attento a scorgere se in alto si vedesse la fiamma del candeliere più antico. Lungo il Corso, oltre il palazzo di Città coi balconi bardati come puledri e le guardie in montura sul portone, la gente diventava folla, siepe umana addensata ai lati, contro le vetrine di Spillo, di Dallay, del Bar Peru, di Bonino, di Trombelli e, più in alto del vecchio Margelli, contro le vetrine della Ditta Rossetti <casa fondata nel 1870>. Il suono dei pifferi , il rullo dei tamburi dal Largo Cavallotti si ampliava in Piazza Azuni, si gonfiava come se il vento suonasse nelle canne o sui cuoi consunti, come se gli stendardi verdi rossi gialli e i cappelli degli obrieri, le code delle redingote e persino l’elsa delle spade dei Viandanti e dei Carrolanti fossero anch’esse piene di musica, di un vento aspro e forte degli umori degli orti delle vigne dei giardini.I Candelieri avanzavano fra l’ondeggiare delle frasche e il dipanarsi dei festoni azzurri rosa verdi e gialli inchiodati ai Candelieri dipinti e traballanti portati a spalla da squadre di giovani frenetici che marciavano al ritmo del tamburo e del piffero, incrociando il passo, ruotando ora a destra ora a sinistra, più avanti più indietro, in alto, in basso, in ginocchio, fino al ballo più importante dinnanzi al balcone dal quale il sindaco irraggiungibile e irreale agitava la mano in un saluto che si perdeva tra i fumi e i vapori di tutta quella agitazione. Scendevano come ogni anno verso il grano dei Massai, verso gli ulivi cerulei e le mole dei frantoi di Godimondo e di Via La Cona, verso il grigio verde del letame, che profuma fin dalla soglia di Santa Maria di Bethlem. Benito gli andava incontro estasiato, coi sensi aperti a quelle fragranze ,a quelle voci, a quei suoni ch’erano il passato e il presente della sua città.