domenica 27 aprile 2014

THATHARI E THATHARESI



THATHARI E THATHARESI



THATHARI E THATHARESI 0RIGINI: (qualche notizia)FIN DALLA “CORTE” ADIACENTE ALLA SORGENTE DELLE CONCE.
“Qui era sorto intorno al 1130 il palazzo del Re, la sede de sa corte, su Kitarone, sede del tribunale del re e de sa Kita de bujakesos, un complesso edilizio forse posticcio ma certamente molto vasto, con magazzini per il deposito di merci, con vasti cortili per buoi e cavalli, per carri e carraioli. Vi erano molti servi e serveTanti si accasarono tutt’intorno, tra Santa Maria e la valletta dell’ Eba Ciara ai confini di Bosove o in casupole primitive o in caverne scavate nei fianchi della valle del Rosello (molte ancora visibili). Era tutto un mondo di acquaioli insomati e di donne senza velo e Mariano Giudice e Re governava in mezzo a loro - subra a un carru -, come su un trono da carraiolo. In dimensione corporale , a tutta quella gente doveva apparire parco e sobrio come un cistercense, grasso e dignitoso come un abate. Nei momenti d’ira forse sembrava matto o ubriaco e nei momenti di quiete uno sciocco, condizionato dalla magia delle donne. Un vero EGUARDERI grasso che nessun cavallo regale e non regale poteva portare in groppa. Di fatto era come un patriarca biblico per la energia nel comandare e nell’agire, per la fedeltà al regno, alla famiglia e ai giuramenti, col cuore che non dormiva mai e con gli occhi aperti su TORRES e pisani, su Ardara e abati, su ville e vescovi. SASSARI nacque allora tra il 1073 e il 1110, in logu qui piaquiat al Giudice Eguardieri. I primi documenti che indicano il nome ufficiale del borgo - dicono gli storici - portano la data del 1131 e del 1135. Il pimo con data 1131, rilevato dal condake di San Pietro in Silki, cita un cero JORDI DE SASSARO. servo di BOSOVE, un po ladro e un po disertore; il secondo documento uff. datato1135. rilevato da un incartamento dell’Arcivescovo di Pisa Uberto, cita la < PLEBANIA SANCTI NICOLAI DE THATHARI > come chiesa più o meno dipendente o protetta dai Pisani. Sulla condizione servile di Jordi (GIORGIO) il Tola commentò: - Chissà cosa penseranno i miei concittadini quando sapranno che il loro progenitore era un servo! - Sul nome Sassaro o Saxaro, Thathari o Tattari, i dotti e gli indotti si sbizzarrirono fino all’inverosimile nella ricerca dell’etimo per poter attribuire alla città un origine antichissima quasi mitica. Il costa ancora scrisse: < Il nome antichissimo della città, certo imposto dai Pisani e Genovesi era Sassaro, chiamato ancor oggi dai sardi in generale Tatari, Zazzeri dai cagliaritani, Sassari dai sassaresi, Sacer e Saceri dagli aragonesi e dagli spagnoli >. Troppo semplice. Possibile che il volgo, dopo aver applicato al giudice Mariano il soprannome di eguardieri, non abbia dato un nome significativo, alla sarda , al logu qui li piaquiat?. Piaceva anche all’Arcivescovo di Torres, che aveva fatto costruire una casa di riposo a due passi dalla chiesa di S. Nicola e a due passi da Sa Corte. La villa o monastero di S. Pietro ebbe il nome specifico di Sirqui, Silqui, Siliqui, cioè Logu delle ghiande o delle querce ghiandifere. Il logu dell’ opera di S. Maria di Pisa o del lazzaretto di San Leonardo ebbe il nome di Bosove, cioé logu di buoi e di pecore. La Gran gobba calcarea sassarese ebbe il nome di Escala de Clocha, cioè salita a chiocciola. Pefgino la l’abbazia della SS. Trinità di Codrongianus ebbe il nome di Saccargia, cioè abbazia della vacca prosperosa, della biblica vacca grassa. Possibile dunque che il popolo abituato allora a dare nomi e soprannomi non abbia dato il nome al luogo ameno e prosperoso dove scorreva l’acqua limpida e chiara”.




IL CASTELLO ARAGONESE.


A cura di Mario Grimaldi

  IL CASTELLO DI SASSARI  

Cronaca di uno scempio.


  • Se vogliamo scrivere per trattare la storia della nostra città è inevitabile, ogni tanto dover riprendere il discorso del Castello Aragonese e in questo caso nell'analizzare questo documento quasi tecnico del Costa, ecco che il Castello ritorna ad affacciarsi con poderoso interessamento al pari di quella che fu la sua antica mole. 
    Come si evince dal disegno di E. Costa (la mappa in alto), il castello aveva forma quadrangolare con quattro torri quadrate agli angoli e una quinta in cui era la porta di accesso dalla città. Sulla facciata della torre centrale - che a nord-est aveva murati gli stemmi del vicerè Cervellon e del veguer Montpaò, assieme ai pali di Aragona, alla torre civica e a uno scudo di ignota attribuzione - erano due decorazioni a rilievo, entro il doppio riquadro e con ornati gotici(E. Costa 1909). L'approvvigionamento idrico era assicurato da pozzi e da una cisterna; vi era un ampio cortile interno e lo spiazzo esterno, detto plà del castell, era parzialmente occupato da orti. Nel castello risiedeva l'alcayde (comandante regio) col presidio militare, dopo il trasferimento da Cagliari a Sassari, dal 1563 vi si insediò il tribunale dell'Inquisizione che adibì a carceri parti dei locali a piano terreno e al piano alto. Di quet'importante struttura difensiva oggi non restano che cinque scudi murati all'interno della caserma Lamarmora (edificata al suo posto), poche immagini aquerellate, incise o fotografiche, e il toponimo della piazza. 
    Notizie storiche: 
    (Castello Aragonese - 1331/   
    L'esborso, da parte della municipalità sassarese di una forte multa da destinare alla costruzione del castello accanto alla porta di Capu di Villa, nel punto più elevato delle mura, rappresentò nel 1326 il prezzo della pacificazione fra la città ribelle ed Aragona. L'infante Alfonso provvide a nominare quale responsabile della costruzione tale Miguel Garbi, residente a Bonaria (f: A. Arribas Palau 1952), ma ' venne solo nel 1331, dopo che la nuova rivolta, scoppiata nel 1329, fu sedata col saccheggio della città, l'espulsione del ceto dirigente e mercantile locale e la confisca dei beni, assegnati in feudo o in enfiteusi a cittadini catalani. 
    Per il momento penso sia opportuno fermarsi qui, in primis per non tediare gli amici con un lungo scritto gli amici, in secundis per offrire, anche agli altri membri del gruppo interessati, l'opportunità di riprendere il discorso storico ancora tanto ampio, riprenderlo con integrazioni a questo post. 
    E naturalmente il sottoscritto si riserva di arrichire l'argomento, su questo stesso post, in seguito. 
    Grazie per l'attenzione.


Chi abbatte e chi ricostruisce? 


La chiesa di San Giuseppe









La chiesa di San Giuseppe

Quando fu approvato il progetto per l’espansione della città e la formazione delle cosidette “Appendici”, si sentì la necessità di una sesta Parrocchia, ( a Sassari ne esistevano cinque da ca. sette secoli). Intorno al 1880 l’Arcivescovo Marongio propose di costruire una nuova chiesa , e ciò avvenne grazie alle generose offerte degli abbienti fedeli abitanti nella zona; l’area fu individuata nella piazza d’Armi e il progetto fu tradotto in pratica dall’architetto Agnesa. La prima pietra fu collocata il 20 settembre 1884 e la chiesa fu consacrata e aperta al culto dopo 4 anni di intensi lavori il 7 giugno 1888. San Giuseppe viene ancora oggi considerata la chiesa più signorile e frequentata della città; sul portone principale è inciso lo stemma dell’Arcivescovo Marongio. L’interno si compone di sei ampie cappelle e dell’altare maggiore; gli altari delle cappelle furono eseguiti dai valenti scultori Sartorio e Usai. Il pavimento, a grandi lastre di marmo bianco e nero, fu realizzato a spese del canonico Panedda segretario di Mons. Marongiu. Sulla parete a destra dell’entrata principale si trova una lastra di marmo con lo stemma arcivescovile e con un’iscrizione in ricordo della costruzione della chiesa: “HANC PARAECIALEM ECCLESIAM IN HONOREM S. JOSEPH – DEIPARE MARIAE VIRGINIS SPONSI ONNIPOTENTIS AUXLIO ET BENE – FACTORUM LARGITIONIBUS – ARCHITECTO GRATIS OPUS DIRIGENTE EQUIETE FRAN.O AGNESA REV. MUS. D.D. DIDACUS MARONGIO DELRIO ARCHIEP. TURRIT. EXTRUENDAM CURAVIT AD DIE 17 IUNII AN. 1888 CUM ALTARI PRINCIPE CONSECRAVIT”. La volta dell’altare maggiore fu ricoperta d’affreschi a tema natalizio. Su una parete e sullo sfondo di altre cappelle si nota qualche pregevole tela di probabile scuola fiamminga, mentre nella navata centrale vi è un grande lampadario di notevole fattura; il soppalco del coro, posto nella parte sovrastante l’ingresso principale, è occupato da un monumentale organo recentemente restaurato. Nella cappella dedicata alla visione di S. Ignazio vi è una gran tela raffigurante la visione che ebbe il Santo con altri confratelli del Cristo portante la croce sulle spalle e dal Padre Eterno circondato da una corte di Angeli; questo quadro è stato attribuito ad un ignoto artista operante nei primi decenni del ‘600, e già facente parte della demolita vecchia chiesa di S. Giuseppe presso l’Università, di cui tratteremo in seguito. Il campanile è alto 34 mt., conta 134 scalini ed ospita 3 campane mosse elettricamente, e pesanti nell’ordine: 11, 8 e 6 quintali; esse sono state dedicate nel 1950 a “SANCTUS JOSEPH”, “SANCTA MARIA IN COELUM ASSUMPTA” e “ SANCTUS JOANNE BAPTISTA”. Il parroco di S. Giuseppe che più di altri ha lasciato delle tracce indelebili è sicuramente Mons. Masia, il parroco che curava in maniera più incisiva i rapporti con i parrocchiani, in special modo, ma queste sono “maldicenze”, con i rampolli delle famiglie nobili e titolate del quartiere. Con la sua severa guida spirituale sono cresciute delle personalità che hanno portato lustro alla città, fra tutti i due presidenti della Repubblica Antonio Segni e Francesco Cossiga. Il regno di Mons. Masia è durato ca. 57 anni, dal 1936 al 1993, anno della sua morte. 






LE CAMPAGNE DI SASSARI


A cura di Sassari storia redazione 
Le Campagne circostanti




PAGINA IN FASE DI LAVORAZIONE

MONUMENTEROS ?


MONUMENTEROS  ?

Piazza D'Italia con al centro il monumento con la statua del Re che molti di Noi possono ricordare quando, un trentennio, e forse più, fa era imbrattato di scritte provocatorie. I gradini del monumento erano costantemente occupati da quei giovani che accompagnadosi, spesso con le loro chitarre intonavano i loro "INNI" o le "rivoluzionarie" canzoni allusive di Edoardo Bennato. Quei giovani erano considerati ribelli e venivano chiamati "Monumenteros" (questa parola veniva esageratamente accostata, dal falso perbenismo, ai "Montoneros" ossia ai guerriglieri di uruguaiana memoria. In verità questi ragazzi, un po esuberanti si, non davano fastidio a nessuno eppur, specialmente la Nuova Sardegna ce l'aveva con questo gruppetto di giovani, e quando succedeva qualcosa che suscitava grida di protesta( per esempio durante un comizio tenuto in piazza o una manifestazione sindacale), i suoi giornalisti non esitavano a segnalare le loro intemperanze.
Ma la gente, noncurante del fastidio che, a detta di molti, potevano creare, continuava a passeggiare su e giù per la Piazza, quasi si sentisse protetta dalla statua di quel signore che un giorno era stato il Re dei loro padri. Ed i "monumenteros" rimanevano sempre li arroccati sull'alto del monumento e continuavano a cantare, suonare i flauti e chitarre mentre i ragazzini solcavano le mattonelle con le strisciate dei loro pattini a rotelle, altri inseguivano un pallone percorrendo un percorso ostacolato dalle mamme che passeggiavano , specialmente nelle calde serate estive e primaverili, su e giù per la Piazza, con i loro bimbi in carrozzina.
Ancora una volta la Storia ci insegna, con l'ausilio di questa foto dei giorni nostri, che più avanti andiamo e più inesorabilmente perdiamo il piacere di una vita movimentata oramai divenuta asettica e banalmente condotta.




VIALE UMBERTO


Fra tutti i ricordi dell' adolescenza si stagliano in primo piano quelli riferiti ai tiepidi pomeriggi primaverili trascorsi, insieme agli amici del cuore, seduti su uno dei gradini che componevano la lunga scalinata che conduceva diritta a quello che Noi si chiamava "IL BOSCHETTO" (fosso della noce). Si studiava, spesso con galoppante fantasia, che tale era destinata a rimanere, la possibilità di percorrere quelle scale per raggiungere il fosso, mano per mano con la ragazza che rappresentava, al momento, il grande amore ella nostra vita ed, insieme a Lei infrascarsi tra gli alberi e le siepi che allora facevano da romantica scenografia di quel teatro dove si sarebbero recitate le nostre commedie d'amore.
Lei era "sempre bellissima", odorava di primavera e quel bacio. anche se già assaporato, era come se lo si riuscisse a carpire per la prima volta.
Come dire?
Il desiderio era talmente acuto che poi, al fin fine, uccideva la fantasia!