domenica 30 agosto 2015

Un racconto dedicato a........


CURA DI Elisa Casu



LA CACCIA




" Dedico questo racconto agli amici cacciatori sardi, non riesco a immaginare un banchetto sardo senza almeno un piatto di carne di cinghiale al sugo,,, poi ognuno di noi è libero di dare un giudizio morale sulla caccia, ma io la penso come tiu Bantine..."
(Elisa).



Il maestrale bussò presto al vecchio portone in legno di Tiu Bantine che mentre sollevava la testa dal piatto di minestrone freddo sorrise, ringraziando il vento ma dicendole fra se che era sveglio ormai da un bel po’. L’uomo passò il tovagliolo verde sui baffi bianchi dopo aver bevuto una tazza di vino rosso, della sua vigna.

Si alzò da tavola, sopra il grosso maglione di lana a dolce vita mise il gilet, infilò la cartucciera si diresse verso la vecchia cassapanca e con delicatezza lo tolse fuori: era il suo fucile da caccia. Piegò e poggiò da una parte il panno in velluto rosso che lo avvolgeva. Aprì la doppietta e controllò ancora una volta che la canna fosse pulita. Lo aveva già fatto la sera prima ma un po per scaramanzia un po per prudenza preferiva assicurarsi che tutto fosse a posto. Prese con entrambe le mani la robusta tracolla in pelle e mise il fucile in spalla. Andò verso l’uscita prese sa ciccia (il capello tipico dei pastori sardi) e la indossò, a destra dell’ architrave della porta era appeso un vecchio Crocifisso, alzò sa ciccia in segno di saluto, sospirò ed uscì. 
Era un oretta circa prima dell’alba, quando aprì il cancello, i cani scodinzolarono felici ed eccitati mentre sentivano già nel muso l’odore acre del cinghiale, desiderosi soprattutto di non deludere il loro padrone.
Gli scarponi di tiu Bantine rompevano il silenzio dell’alba, svoltato il vicolo del paese, a fianco della Chiesa patronale si incontrò con i compari, pronti anch’essi per la battuta di caccia. 
Salute compare!, si salutarono a bassa voce per non svegliare il paese ancora immerso nel sonno, e in processione sfilarono con le canne dei fucili rivolte verso il cielo ancora stellato con la luna che li seguiva, ma ormai pronto a lasciare il posto al primo chiarore dell’alba.
Compare Nino, andava avanti in disparte perso nei suoi pensieri, talmente distratto che inciampò nella soglia della casa del sacerdote. 
“Eh cosa vuoi la benedizione prima della caccia ?”, scherzò Pizzentinu, il più giovane del gruppo, nipote di compare Matteu, un altro cacciatore della grande compagnia . Ma il ragazzo non fece in tempo a finire la frase che le arrivò un sonoro scapaccione dalla grossa mano dello zio che gli fece volare in alto la ciccia di velluto marrone . 

“Non bestemmiare , porta rispetto!”Rimproverò lo zio al nipote. 

Ancora compare Nino mostrava di apparire troppo distratto. Tiu Bantine che lo conosceva bene, lo prese in disparte e passatogli il braccio intorno alle spalle chiese a bassa voce : “Cosa c è compare ?”
“Eh ..Raffaellina, compà, lo sapete non vuole che vada a caccia, manca poco alla nascita del bambino e ha paura .” Rispose compare Nino.

“Pregamus chi andet tottu ene, per deu,”( preghiamo Dio che vada tutto per il meglio)! Esclamò rincuorandolo Tiu Bantine.

Avevano intanto preso la pittiriaca (viottolo di campagna), all’uscita del paese iniziava così la strada sassosa e li si erano appoggiati al muretto a secco sos battidores (i battitori), una truma (gruppo) di almeno 15 ragazzini con matracche, tamburi e fischietti.

Si salutarono e iniziarono la discesa scoscesa, i cani a malapena si tenevano, ansimavano pronti a scovare la bestia. A fatica i compari riuscivano a tenerli rischiando più volte di scivolare lungo la discesa della collina impervia. Finalmente arrivarono all’imboccatura della valle .


Chiuse le bocche ora parlavano solo i rumori degli scarponi dei cacciatori sui sassi, che ben presto si sistemarono dietro piccoli cespugli di mirto, ciascuno nella sua posta. A valle i battitori con fischietti, legni e battito di mani pensavano bene di iniziare un chiassoso concerto di rumori per scovare i cinghiali, i cani sciolti correvano e abbaiavano annusando il terreno, eccitati e desiderosi di accontentare i loro padroni a portare a buon fine la battuta di caccia, con le narici umide immerse nella fragranza del mirto e del corbezzolo in fiore che riempiva tutta la campagna.
Mentre il gruppo di caccia iniziava la battuta e si sentivano i primi guaiti e i primi spari, il rito ancestrale della caccia si perpetuava anche quel mattino: la lotta fra l’uomo e l’animale, fra la vita e la morte! Contemporaneamente però in paese a casa del cacciatore, compare Nino iniziavano invece i gemiti: erano le doglie della giovane moglie, la nuova vita desiderosa ormai di nascere!

Le donne di casa si preoccuparono subito di mandare il figlio più grande a casa dell’ostetrica (sa mastra e partu).
Mentre compare Nino mirava e sparava al cinghiale, la moglie aiutata dall’ostetrica prendeva un forte boccata d’aria per dare le ultime spinte.
Gli spari rimbombavano nella valle, accompagnati dalle imprecazioni nervose dei cacciatori e dai latrati dei cani, anche loro madidi di sudore e desiderosi di guidare le bestie nella direzione dei loro padroni fermi nelle poste col fucile carico pronti a sparare al primo cinghiale che fosse venuto a tiro.
In paese intanto, nel letto matrimoniale in ferro battuto, la puerpera con la fronte rigata dal sudore cacciava fuori tutta la sua forza per guidare verso la luce la nuova creatura: panni, acqua calda, forbici tutto era pronto per accogliere alla vita il nuovo nascituro.
I compari intanto dopo una lunga mattinata, stanchi e contenti portavano le bestie come trofei in paese, svoltavano l’ultima curva prima di arrivare in biddha ( paese).
Arrivarono di fronte alla casa di compare Nino dove svelta gli andò incontro la mamma: “Curre, curre, chi bat bisonzu de a tie”(corri , corri, c è bisogno di te).
L’uomo d’impulso si mise a correre, Tiu Bantine ridendo gli disse: “Bogandinde assumancu su fusile, o lu cheres già cazziadore custu pizzinneddu”! (Deponi almeno il fucile o lo vuoi già iniziare alla caccia questo bimbo).
I compari risero. Compare Nino si levò dalla spalla il fucile e lo consegnò con calma a compare Bantine e lesto come una lepre entrò in casa.
I compari sistemate le bestie nel retro della casa dove i vecchi erano pronti per l’usciatura e allo svuotamento dalle viscere, si ritirarono e sistemarono cartucciere e fucili, e si diedero appuntamento sotto casa di compare Nino.


Era ormai il tramonto, la luce tenue illuminava la stanza al primo piano della puerpera, giù in strada i compari di caccia in cerchio, con il bicchiere di vino in mano salutavano la nuova vita. Il vino rendeva allegri e dava l’ispirazione giusta per intonare qualche Trallalera (versi in sardo), dove compare Nino veniva preso bonariamente in giro.
Al piano di su il bambino succhiava beato dal seno della mamma, e nella casa accanto la carne di cinghiale la si stava lavorando alla meglio.
Dopo una settimana il bambino vene battezzato, e venne preparato per l’indomani un pranzo a base di carne di cinghiale e vino rosso dove si brindò ancora alla nascita del figlio di compare Nino, e anche alla buona riuscita della caccia.

In fin dei conti pensava Tiu Bantine mentre la sera, un po barcollante e felice rientrava a casa: “Sa vida est gai, unu giru inue sa vida si leat a brazzu cun sa morte. Sa cazzia che furat unu bicculu a mama Terra , ma sa vida andat adaenanti cun naschidas e mortes, già no semus poi nois cazziadores sos malos !” (La vita è cosi: un cerchio dove la vita e la morte si prendono a braccetto. La caccia che ruba alla natura un po’ di se, e la vita che continua il suo corso col miracolo della nascita, in fondo non siamo noi cacciatori i cattivi!) Pensava entrando nell’uscio di casa Tiu Bantine, che salutando con la ciccia in mano fece un simpatico occhiolino al vecchio Crocifisso, aggiungendo: “Tue mi cumprendese beru”! (Tu mi capisci vero?)



Ricodi d'estate.... La colonia marina.











A CURA DI Mario Grimaldi


RICORDI D'ESTATE:

Di quella estate era per molti anche tempo di colonia. 
Non solo le parrocchie, per i bambini meno abbienti, ma anche le amministrazioni pubbliche e le grosse aziende, ogni stagione estiva organizzavano per i figli dei loro dipendenti quelle colonie estive destinate, in strutture organizzate e ben vigilate da professionisti attenti, ad ospitare i giovani villeggianti. 
In genere si trattava di trascorrere una quindicina di giorni in località balneari ed, allora ecco questi piccoli con capellino, attrezzati di rastrello, secchiello, paletta e annaffiatoio intenti nella costruzione di un castello di sabbia che, forse in molti casi, avrebbe voluto rappresentare i sogni per il loro futuro.
Il ruolo di vigilante attenta spettava ad una carina signorina (generalmente si preferivano delle giovani maestrine che durante il periodo scolastico avevano svolto il tirocinio presso le scuole elementari..... (Chi non ricorda le Signorine del tirocinio che spesso presenziavano in aula portando un aria di gradita e festosa novità e gradito diversivo tra i nostri banchi!).....




















IL GELATAIO






A CURA DI   Mario Grimaldi




Noi da bambini(nel primo pomeriggio svegliavamo l'omino dei gelati appena appisolatosi sopraffatto dal caldo ma anche dal lavoro, che anche se non lo sembrava doveva esser abbastanza faticoso... e vediamo perché) - 
Era d' estate , il sapore estivo di allora possiamo ancora gustarlo con il ricordo di questo personaggio che con le sue apparizioni fugaci e periodiche ha lasciato un ricordo, ancor oggi, vivo e piacevole: portava a noi bambini di allora, nelle ricorrenze delle grandi festività, ma anche nell'ordinarietà delle comuni giornate trascorse nella calura cittadina a passeggio per le vie , un gradito refrigerio sotto forma di cono da farcire con i più disparati gusti di quelle bontà tanto apprezzate e che per gustarle, ci costringevamo anche a lunghe file (con le venti lire in mano).
I bimbi erano, infatti gli avventori più affezionati e fedeli, tutti, anche i più poveri riuscivano ad avere dai genitori qualche soldino per potersi comperare il gelato. Arrivavamo presso il carrettino di corsa, agitando in aria le monetine tenute strette tra il pollice e l'indice e , ordinato il gelato " tutto crema" o "crema e
cioccolato" o "solo cioccolato", restavamo li fermi in trepida attesa, seguendo con apprensione la paletta, sempre avara a nostro giudizio, che riversava nel cono o nella coppetta di cartone la "celestiale" manna.
La preziosa merce era contenuta in due o più (a seconda di quanti gusti erano disponibili per la somministrazione) sorbettiere che altro non erano che recipienti di rame allogati negli appositi spazi del piccolo e bianco carretto entro buche cilindriche, dalle pareti rivestite di sughero pressato. Tra le pareti interne di queste e quelle esterne delle sorbettiere correva tutt'intorno del vuoto, a mo di intercapedine, che veniva riempito di ghiaccio tritato e sale; un sacco di iuta ben attorcigliato ne sigillava l'orlo, isolando il ghiaccio dalla temperatura esterna e ritardandone così la liquefazione.
Sulla parte libera del piano del carrettino faceva spicco un - porta coni - di vetro e, quando era in atto.... lo smercio, il coperchio di ottone cromato di una delle sorbettiere; in basso, invece, sul lato che dava verso il sellino del triciclo, si apriva una piccola nicchietta quale dimora della scatola contenente
la scorta dei coni....
FASCINO BAMBINO....
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giovedì 13 agosto 2015

SASSARI - Stalattiti definite uniche al mondo.




Un luogo non molto conosciuto di Sassari conservava e celava un segreto che pare lo renda unico al mondo. Si tratta di una galleria : un tunnel stretto che si snoda sotto terra, per oltre quattro Km., partendo da dietro la palazzina liberty, presso il vecchio acquedotto di Sassari, fino ad arrivare al bacino artificiale di Bunnari (strada per Osilo). Codesta galleria scavata, dall'uomo, intorno alla seconda metà del XIX secolo è stata oggetto di studio da parte dei ricercatori che hanno studiato la genesi di alcune piccole concrezioni subacquee fino ad ora conosciute.


Laura Sanna (dell' Istituto di Biometereologia del C.N.R. di Sassari e speleologa del G.S.A.S.) insieme al collega Paolo Forti (dell'Istituto Italiano di Speleologia di Bologna) hanno rivelato che questi particolari speleotemi si sviluppano dal basso verso l'alto in presenza di bolle stazionarie di gas; queste piccole sacche d'aria sono il prodotto della decomposizione di materia organica che col tempo si è depositata sul fondo della conduttura.


La brava Archeologa LAURA SANNA, intervistata ha chiaramente fornito altre preziose informazioni sul sito e come è nata la sua scoperta scientifica ( Le notizie di sotto riportate sono state apprese dalla rubrica omaggio "FARMACIA DINAMICA"):


<<< ""La galleria è lunga circa 4.200 metri ed è divisa in due parti: il primo tratto di 2.250 metri è compreso tra Viale Adua e la stazione di pompaggio nella valle dei Ciclamini;il secondo segmento dopo una serie di curve collega questo punto e Bunnari. L'accesso è possibile dalla palazzina dell'Acquedotto; l'ingresso dalla parte di Bunnari è inaccessibile a causa della vegetazione. Il tunnel serviva a portare l'acqua dal bacino artificiale di Bunnari all'acquedotto realizzato a monte del nucleo storico della città.


Il tunnel venne scavato tra il 1874 e il 1880 e rappresentava un opera pubblica molto attesa dai sassaresi. La cittadinanza aveva un grosso problema di approvvigionamento idrico, che dipendeva dalle fontane storiche e non garantiva la necessaria salubrità. La galleria e la diga del Bunnari, inaugurata il 15 agosto del 1880 , rappresentarono una svolta storica. Purtroppo in nostri antenati scoprirono subito che l'infiltrazione di sostanze organiche dovute alla presenza di pascoli e fabbriche di lino inquinava l'acqua di Bunnari.


La scoperta di una falda acquifera lungo il percorso della galleria e l'esecuzione di nuovi lavori pubblici risolsero il problema nel 1932. E' incredibile che diversi decenni dopo i sassaresi abbiano deciso di realizzare la discarica a Calancoi, proprio sopra il tunnel. In più in tutta l'area, come nel resto dell'agro di Sassari, si è registrata un'urbanizzazione diffusa: non sappiamo quante case abbiano le fosse settiche a norma. Anche questo è un problema per la salubrità delle numerose falde acquifere della zona.


La scoperta di questi speciali speleotemi (Uno speleotema - in greco, "deposito in grotta" - è un deposito minerale secondario formatosi in una grotta), è avvenuta allorchè la brava archeologa ha visitato la grotta allo scopo di condurre una ricerca su come fosse cambiata la concentrazione di CO2 nell'area urbana di Sassari negli ultimi cento anni e, quindi, gli speleotemi delle cavità artificiali sono ottimi archivi delle condizioni ambientali del passato.


Grazie a questi sopralluoghi abbiamo trovato, continua Laura Sanna, degli ulteriori elementi di interesse: a circa metà del tunnel, in una pozza vicino a una frattura nella roccia da cui fuoriesce dell'acqua, abbiamo trovato dei concrezionamenti subacquei. A prima vista sembrano dei piccoli vulcani alti tra i 2 e i 5 centimetri con un diametro massimo di 1,5 centimetri. Si tratta di stalattiti che crescono sul pavimento e che sono alimentate da una gocciolina di gas. Dopo averle studiate a fondo, abbiamo deciso di chiamarle <anti-stalattiti subacquee.


Il risultato di questa ricerca è stato pubblicato sulla rivista nazionale Hypogea in occasione del Congresso internazionale sulle Cavità Artificiali che si è svolto a Roma lo scorso marzo 2015.


LE CONDIZIONI IN CUI VERSA LA CAVITA', PURTROPPO, NE RENDONO IMPOSSIBILE LA FRUIZIONE AL PUBBLICO ... E' GIA' UN PRIMO PASSO CONOSCERNE L'ESISTENZA E LA STORIA, PERCHE' CI RICORDA CONTINUAMENTE QUANTO SIA PRECARIO IL RAPPORTO TRA L'UOMO E LE SUE FONTI PRIMARIE DI SOSTENTAMENTO."">>>


lunedì 3 agosto 2015

RICORDI DI ALLORA: " LI CANDARERI"




A CURA DI:  Mario Grimaldi






<LA FESTHA MANNA>

 “Non c’è un sassarese che d’agosto non senta un tempo nuovo maturare e col tempo, il gusto, una sete di godersi la vita per le strade. E adesso era Ferragosto, i Candelieri, la Festa Manna. 
Un nostro concittadino (poteva essere ognuno di noi) saliva contro corrente, lungo il Corso affollato di gente che andava in qua e in la, accaldata e sorridente, frenetica non appena un tamburo da un angolo a dal fondo dell’imbuto che pareva il Corso a quell’ora faceva vibrare le finestre e oscillare i drappi, le cortine, i tappeti esposti sui davanzali. Benito (chiameremo così il nostro amico e concittadino) saliva dunque, innamorato di quella gente e di quel chiasso di pifferi e tamburi, attento a scorgere se in alto si vedesse la fiamma del candeliere più antico. Lungo il Corso, oltre il palazzo di Città coi balconi bardati come puledri e le guardie in montura sul portone, la gente diventava folla, siepe umana addensata ai lati, contro le vetrine di Spillo, di Dallay, del Bar Peru, di Bonino, di Trombelli e, più in alto del vecchio Margelli, contro le vetrine della Ditta Rossetti <casa fondata nel 1870>. Il suono dei pifferi , il rullo dei tamburi dal Largo Cavallotti si ampliava in Piazza Azuni, si gonfiava come se il vento suonasse nelle canne o sui cuoi consunti, come se gli stendardi verdi rossi gialli e i cappelli degli obrieri, le code delle redingote e persino l’elsa delle spade dei Viandanti e dei Carrolanti fossero anch’esse piene di musica, di un vento aspro e forte degli umori degli orti delle vigne dei giardini.I Candelieri avanzavano fra l’ondeggiare delle frasche e il dipanarsi dei festoni azzurri rosa verdi e gialli inchiodati ai Candelieri dipinti e traballanti portati a spalla da squadre di giovani frenetici che marciavano al ritmo del tamburo e del piffero, incrociando il passo, ruotando ora a destra ora a sinistra, più avanti più indietro, in alto, in basso, in ginocchio, fino al ballo più importante dinnanzi al balcone dal quale il sindaco irraggiungibile e irreale agitava la mano in un saluto che si perdeva tra i fumi e i vapori di tutta quella agitazione. Scendevano come ogni anno verso il grano dei Massai, verso gli ulivi cerulei e le mole dei frantoi di Godimondo e di Via La Cona, verso il grigio verde del letame, che profuma fin dalla soglia di Santa Maria di Bethlem. Benito gli andava incontro estasiato, coi sensi aperti a quelle fragranze ,a quelle voci, a quei suoni ch’erano il passato e il presente della sua città.