sabato 7 dicembre 2013

La Questione Sarda


A cura di  Mario Grimaldi




Alcuni giorni fa, nel commentare un post di Antonio Carta. concernente la figura storica di Vittorio Emanuele II, ed il suo ruolo politico nell'ambito del territorio Sardo (e quindi rivolto anche alla nostra città) ho accennato l discorso della"QUESTIONE SARDA". Ebbene, penso che questo argomento meriti un post a parte: La storia è caratterizzata anche da momenti di malessere sociale che, comunque son serviti da sprono per avviare la storia(che ci tocca da vicino) verso un cambiamento significativo delle situazioni allora veramente causa idi sofferenza sociale per le nostre genti.
Il primo ad accennare all'esistenza di una <QUESTIONE SARDA> fu nell'Ottocento, Giovanni Battista Tuveri, studioso e uomo politico, che volle con questo termine mettere in evidenza come i problemi economici e sociali dei territori sardi fossero in qualche misura diversi da quelli che affliggevano
altre regioni meridionali d'Italia nel periodo successivo all'unità nazionale. L'analisi dl TUVERI non era però isolata, poiché già prima di Lui grandi pensatori e uomini politici nazionali, come Giuseppe Mazzini e Carlo Cattaneo, avevano sottolineato la particolare gravità della situazione sarda, derivante da una lunga storia <di dolori, d'oppressioni>, come ebbe a scrivere Mazzini.
Il malumore popolare diffuso nell'isola, nelle campagne come nelle città, che si espresse con numerosi moti di protesta e con episodi di vera e propria rivolta , fu il segno chiaro che la situazione generale dell'isola, e in particolare la sua situazione economica, non era certo migliorata con la creazione dello Stato Italiano: Sulla sua popolazione, e in particolare sui ceti popolari , gravava soprattutto la forte pressione fiscale, cioè le pesanti imposte decise dai governi del nuovo regno, che costituivano un elemento di disagio per tutta la nazione, ma si ripercuotevano in modo particolare sulle regioni più arretrate, come quelle meridionali e come la Sardegna. 

Dai fatti di SASSARI del 1864, al moto de su connottu del 1868, alla sommossa di Sanluri del 1881, ai gravi episodi di criminalità e di banditismo degli ultimi decenni del secolo, sino alla rivolta della popolazione di Cagliari e di numerosi centri della provincia nel 1906/1908 è tutta una serie di manifestazioni di scontento e di malessere segnati da morti, arresti, condanne che lasceranno profonde tracce nella coscienza popolare, soprattutto nel mondo rurale.
Ma questa agitazione non interessò soltanto il mondo contadino, pastorale e urbano: anche il mondo operaio sardo, che andava crescendo soprattutto nel settore minerario e si trovava profondamente colpito da una situazione di grave disagio economico, mostrò tutta la sua inquietudine negli ultimi decenni dell'Ottocento e nei primi anni del Novecento. L'aumento degli scioperi e delle manifestazioni di protesta da parte degli operai,era un segno evidente di questo stato di disagio, che trovava la sua causa nelle pesanti condizioni di lavoro e nei bassi salari che gli operai erano costretti ad accettare. Le risposte del mondo padronale e delle autorità pubbliche a queste manifestazioni di protesta operaia furono durissime e provocarono in più occasioni conseguenze mortali. 

Nel primo Novecento si comincio a intravedere qualche segno di mutamento positivo, anche in seguito ad un nuovo atteggiamento da parte dei governi, che prendevano coscienza della gravità della situazione sarda e della necessità di intervenire in maniera più incisiva. Le<leggi speciali>, studiate per il mezzogiorno e per le isole, e in particolare il Testo Unico del 1907 per la Sardegna, crearono alcune condizioni favorevoli per un suo positivo sviluppo: uno sviluppo che, tuttavia, non si poté realizzare, poiché, a bloccare bruscamente qualunque possibilità di progresso, sopravvenne la prima guerra mondiale a cui la Sardegna, come tutte le altre regioni italiane, dovette pagare il suo tributo economico e umano.
La guerra provocò importanti mutamenti nell'economia, nella politica, nella cultura dell'intera Nazione. Anche la Sardegna risentì di questi cambiamenti: finita la guerra, le masse dei contadini e di pastori che avevano vissuto direttamente le terribili esperienze del fronte, una volta tornati a casa, mostrarono di aver maturato una nuova consapevolezza dei loro problemi economici e sociali e una nuova coscienza politica. La loro volontà di partecipare alla lotta politica non solo contribuì a rafforzare i i partiti di massa, ma soprattutto fece nascere un partito di ex combattenti, che nel 1921, si trasformò in Partito Sardo d'Azione. Insomma si organizzarono in maniera tale da riuscire ad aggregare una parte notevole dei ceti popolari ma anche consistenti settori della borghesia isolana intorno agli ideali dell'autonomia.