venerdì 4 novembre 2016

STORIA DI LEONARDO INGOLOTTI DETTO TRAPPADE’


A cura di: Tore Sanna                    seguiteci su SASSARI STORIA DI UNA CITTA'

Trappadè, al secolo Leonardo Ingolotti, è un combattente di Sassari della Prima Guerra Mondiale che a fine anni 40 e negli anni 50 è stato fortemente umiliato e deriso, al punto che ancora oggi sono note e famose storielle e canzoni dialettali a lui dedicate. 
Di lui e del suo coraggio in guerra ne avevo avuto sentito parlare da ragazzo da Raimondo Usai, un ortolano amico di mio padre che lo aveva avuto compagno di reparto e di combattimento durante la prima battaglia di Castelgomberto. Da lui ho appreso tra l’altro che il nomignolo di Trappadè, nome dialettale della quaglia, gli era stato dato dagli stessi commilitoni, per la sua grande capacità di mimetizzarsi, come appunto fanno le quaglie, prima di colpire gli austriaci nei non pochi corpo a corpo che in quella famosa battaglia ci sono stati
Era nato a Sassari al n. 50 di via Muraglie il 15 Luglio 1895, come Leonardo Gialetti, figlio di “donna che non consente d’esser nominata”; diventa Leonardo Ingolotti il 3 Marzo 1906, quando sua madre Assunta Petretto, si unisce in matrimonio con Efisio Ingolotti ed entrambi quello stesso giorno dichiarano che il giovane Leonardo è loro figlio.
Tra Assunta ed Efisio esisteva un amore, diciamo clandestino, da anni prima che nascesse Leonardo. reso ufficiale soltanto dopo la vedovanza di Efisio col matrimoni. Certamente questo è il motivo che porta Assunta a non riconoscere suo figlio, nonostante ciò lo alleva e lo accudisce da appena nato, grazie fatto che sua zia Francesca ne ottiene l’affidamento dopo averlo denunciato in comune. 
Quella degli Ingolotti era una famiglia di origine genovese, il capostipite Francesco con la moglie Rosa Grillet, era arrivato a Cagliari un po’ prima del 1860, anno di nascita a Cagliari di Efisio, il loro primo figlio, era approdato in Sardegna come usciere nella regia tesoreria. 
Gli Ingolotti pur avendo avuto a Cagliari sei dei loro 7 figli, hanno sempre mantenuto con la città ligure uno stretto legame, al punto che 5 dei 7 figli si trasferiranno a Genova per sempre, salvo la figlia Camilla che una volta rimasta vedova del genovese Antonio Conte, ritorna in Sardegna. E’ in questa ottica bisogna inquadrare il loro trasferimento a Sassari a metà anni 70 dell’800, perché allora l’unico collegamento marittimo tra la Sardegna e la città ligure era quello di Porto Torres.
Leonardo Ingolotti, nonostante le sue origini liguri era però radicato ben bene nella mentalità di Sassari, ne conosceva a fondo il dialetto, al punto che in pochi in città lo hanno mai sentito parlare in italiano, a questo aggiungeva quella maniera di fare e comportarsi simpatica e "cionfraiola", fatta di battute pronte, pungenti ed ironiche che tutti riconoscono agli abitati della città. 
Alla visita di leva, il 24 Novembre del 1914, Leonardo Ingolotti risulta analfabeta, di mestiere fa il fabbro, è alto 170 cm, ha un torace di 84 cm, occhi castani, colorito scuro, una cicatrice sulla testa, denti guasti e di sana e robusta costituzione fisica. Risultato: abile di prima classe. 
Viene chiamato alle armi il 12 Gennaio del 1915, incorporato il 24 Gennaio, giorno dell’entrata in guerra dell’Italia, nel 29esimo Reggimento di fanteria e il 27 dello stesso mese trasferito in territorio di guerra. Appena costituita la Brigata Sassari, nei primi mesi del 1916, fu però trasferito alla Brigata Sassari, come molti altri sardi di altri presenti in altri reparti.

La prima battaglia di Castelgomberto nella quale viene ferito perdendo il totale uso del braccio sinistro, fu una delle più cruenti combattute nella Grande Guerra; si inquadra nell’ambito della più vasta offensiva austroungarica di primavera lanciata nel Maggio del 1916, finalizzata a sfondare le linee italiane attraverso gli altipiani di Folgaria, Lavarone ed Asiago, per giungere nella pianura vicentina e isolare il grosso del nostro esercito schierato sull'Isonzo.
Dopo due settimane di combattimenti l'esercito imperiale pareva vicino al successo, erano arrivati ad Asiago, ma di fronte nel Monte Fior e nel Monte Castelgomberto si trovarono posizionati in difesa i soldati italiani di 2 battaglioni della Brigata Sassari e gli Alpini dei battaglioni Morbegno, Val Maira, Argentera e Monviso, che tra il 5 e 10 di Giugno del 1916 resistettero combattendo con impeto, ardore ed onore anche all'arma bianca, infliggendo ai nemici pesantissime perdite, impedendo così agli imperiali di invadere la pianura vicentina, nonostante avessero di fronte le elite dell’esercito austriaco, conosciuti per la sua ferocia, anche se alla fine sono costretti a cedere le posizioni agli austriaci. 
Le perdite di vite furono grandi da ambo le parti, ma decisamente superiori furono quelle subite dai conquistatori, al punto che il 24 dello stesso Giugno, i soldati austriaci dovettero abbandonare le posizioni perché impossibilitati a difenderle per i pochi uomini disponibili. 
Per il comportamento tenuto in questa prima battaglia di Monte Fior e Monte Castelgomberto fu conferita alla Brigata Sassari la prima medaglia d’oro e quella d’argento al 2° e al 5° reggimento Alpini.
Leonardo Ingolotti in quella sanguinosa battaglia fu ferito nella prima decade di Giugno, perdendo l’uso del braccio sinistro. Partì dalla zona di guerra il giorno 16 dello stesso mese, dopo mesi trascorsi tra ospedali militari e convalescenze fu ritenuto idoneo e venne fatto rientrare nei ranghi dell’esercito al 45esimo deposito di stanza ad Ozieri, rimanendovi fino al 1° Maggio del 19, quando riconosciuto inabile fu mandato in congedo temporaneo. Tuttavia dovrà attendere 8 Marzo del 1927 per vedersi riconosciuta definitivamente la sua invalidità permanente per mutilazione di guerra e nella stessa data gli viene concessa un pensione di terza categoria la più bassa prevista. 
Degna di nota è la sua condanna a 5 mesi di reclusione di carcere militare, emessa dal tribunale militare di guerra di Cagliari il 29 Marzo 1918 per furto commesso nel deposito di Ozieri di “munizioni per bocca” che nel linguaggio militare di allora erano i cibi. La pena gli fu però sospesa per meriti di guerra.
Le autorità militari si ricordarono di lui il 16 Luglio del 1928, giorno successivo al suo 33 compleanno, riconoscendogli di “aveva servito la patria con fedeltà ed onore”, concedendogli due decorazioni e il distintivo di grande mutilato di guerra. Il mese successivo fu il comando interalleato a decorarlo con una medaglia, concessa durante la Grande Guerra a pochi soldati semplici. 
Termina qui la storia militare del fante della Brigata Sassari Ingolotti Leonardo, eroe della Grande Guerra, per lui purtroppo con la fine della guerra inizia quella triste, drammatica e umiliante, di Trappadè
La sua vita inizia ad essere dura ancor prima del suo congedo; nell’Agosto del 1918 muore sua madre Assunta, mentre lui continua a peregrinare tra ospedali militare e deposito di Ozieri. Rientra a casa dopo la concessione del congedo temporaneo del 19, ma non può certo vivere con la paga di soldato semplice assegnatagli, suo padre Efisio inizia ad essere anziano, lavora poco perché per esercitare il mestiere di fabbro, lo stesso di suo figlio, sono necessari muscoli e forza che in lui stanno diminuendo. Con l’unico parente Ingolotti rimasto a Sassari, lo zio Emanuele, fratello del padre e la sua famiglia, non aveva alcun rapporto, pur conoscendo suoi cugini, compreso uno monsignore e prelato autorevole nella curia di Sassari. Tutti gli Ingolotti erano persone molto religiose e l’aver scoperto che Efisio, fratello maggiore di Emanuele, era diventato da sposato l’amante di Assunta Petretto, anche se poi divenne sua moglie, aveva portato Efisio e la sua nuova famiglia ad essere emarginati dai parenti, se non proprio rimossi, non a caso a Sassari nessuno era a conoscenza del vero nome di Trappadè. 
Assunta Petretto era invece figlia unica e l’unica sua zia Francesca era morta quando Leonardo aveva un anno.
Leonardo tenta di reinserirsi nel lavoro di fabbro, mestiere che aveva sempre fatto fin da bambino al seguito del padre, ma è impossibilitato dal mancato uso del braccio sinistro,.

Nel 1922 si trasferisce a Cagliari sperando in un po’ di fortuna nel trovare un lavoro dove aveva vissuto suo padre, nel capoluogo l’8 Febbraio del 1923 si sposa con Giuseppa Meloni, una vedova di 44 anni di Selargius, lui di anni ne ha invece appena 28. La coppia stabilisce nel povero quartiere di Sant’Elia, dove lui svolge piccoli lavori per la comunità di pescatori della zona. 
Nonostante la differenza di età il matrimonio va avanti fino alla primavera del 1944, quando morì Giuseppa; completamente solo Leonardo cerca consolazione nell’alcol, la sua pensione è talmente misera che i dirigenti della Associazione dei Mutilati di Guerra la ritengono decisamente insufficiente per far vivere una persona, così nel mese di Luglio del 44 decide di rientrare a Sassari. Nella sua città di nascita trova lavoro come commesso nella rivendita di un carbonaio toscano, il signor Melani in via Carmelo, una sistemazione che gli permette di abitare in una casa dignitosa al n. 32 di via Arborea, nel palazzo dei bagni popolari. 
In città per molti però è solo Trappadè, per alcuni anche signor Trappadè, per nessuno invece è Leonardo Ingolotti, il suo nome e cognome era stato rimosso, quel maledetto nomignolo di battaglia veniva poi ritmato da molti giovani che vedendolo alticcio lo provocavano per ascoltare le sue pronte, pungenti e colorite risposte in dialetto che facevano sorridere sempre chi ascoltava. Dentro di lui però era una persona triste, ferito nell’anima e mortificato dalla solitudine, l’unica persona con la quale a volte si intratteneva era Silvio Tola, un carrettiere, ex campione sardo di ciclismo, conosciuto in città per la sua forza erculea, il quale abitava a due passi dalla rivendita di carbone di signor Melani. Dopo due anni di una vita trascorsa a Sassari sopportando molte umiliazioni, fugge e rientra a Cagliari, sperando di fuggire dall’alcol, e ai fantasmi di Castelgombero. A Cagliari, spera ritrovare i vecchi pescatori di Sant’Elia e vivere arrotondando la magra pensione, invece la nuova realtà del capoluogo è tragica: non c’è alcun lavoro, finendo a mendicare qualche moneta e dormire in posti di fortuna, sempre in compagnia di qualche bottiglia di vino: una vita da inferno.

Durante questo suo mendicare, un giorno di Aprile del 1947, viene incontrato casualmente da un ex ufficiale della Grande Guerra che vedendolo con il distintivo da invalido lo redarguisce malamente, perché stava “disonorando tanti eroici combattenti e il distintivo di grande mutilato di guerra che porta sulla giacca”. 
L’ufficiale non si limitò solo alle parole, ma intervenne per farlo espellere dalla sezione di Cagliari della Associazione Mutilati, segnalandolo alle autorità di pubblica sicurezza come “persona dotata di mezzi di sostentamento derivanti da pensione di guerra”. 
Fu così che l’ultimo giorno di Aprile del 47, Leonardo Ingolotti, viene allontanato da Cagliari con un foglio di via, su un treno diretto a Sassari. Il giorno prima dopo aver ricevuto la notizia di persona indesiderata, preso dalla disperazione e consumato dall’alcol, si strappò il distintivo di invalido e con tutte le forze che aveva in corpo lo lancio via in mare.
Il comune di Sassari come faceva con tutti i senza fissa dimora lo sistemò nell'ospizio di San Pietro, dove per altro andava raramente, preferendo dormire in qualche rifugio di fortuna nelle viuzze del centro storico e più spesso nella stalla di via Quesada, dove Silvio Tola, teneva i suoi cavali, fornendogli spesso cibo e anche qualche bottiglia di vino; Sivio Tola è stato probabilmente per lui uno dei rari amici avuti in questa Sassari che lo umiliava in continuazione. 
Alcuni dirigenti della sezione di Sassari della Associazione dei Mutilati ed Invalidi di Guerra, vedendolo umiliato, deriso e offeso per le viuzze del centro storico, per di più costretto a mendicare un tozzo di pane, intervennero presso il comune, riuscendo a fargli ottenere la cartella di povertà e pasti gratis a pranzo e cena nel Ristorante Popolare della Frumentaria, una sorta di trattoria dei poveri, dove con modica spesa di 10 lire negli anni del dopo guerra si poteva mangiare un piatto di pasta e bere un bicchiere di vino. Lo reintegrarono nella associazione, gli fecero riavere il distintivo di grande invalido e intervennero in sua difesa contro i tanti incivili e maleducati che lo umiliavano quando girava per le vie e del centro trascorrendo il tempo tra un’osteria e l’altra. 
I dirigenti esempio, scrissero lettere di fuoco al commendator Pani, gestore del servizio tranviario cittadino, invitandolo ad intervenire anche con drastici provvedimenti sugli autisti degli autobus cittadini che appena lo intravvedevano ne provocavano la suscettibilità, ritmando con il clacson il suo nomignolo allo scopo di farlo reagire con le sue colorite espressioni. Altrettanto fecero col Col Pagliaro, comandante dei vigili di urbani di Sassari, ex ufficiale e decorato della grande guerra, affinchè “intervenisse presso i vigili in servizio al civico mercato contro i giovani energumeni che in continuazione umiliano il grande invalido di guerra Leonardo Ingolotti”. 
L'aiuto più grande però che i dirigenti dell'Associazione gli dettero fin dal suo ritorno a Sassari fu però il grande impegno che profusero per fargli rivalutare la misera pensione di terza categoria. Lo fecero con continui e persistenti ricorsi e contro ricorsi, presso ministeri, comandi, ospedali militari e autorità di ogni tipo. La loro solerzia fu premiata solo nel 1959, quando finalmente a Leonardo Ingolotti, dopo l'ennesimo controllo dei sanitari militari, fu riconosciuta una pensione di prima categoria.

Ottenuta finalmente una pensione decente i dirigenti della Associazione lo convinsero dopo tanta ritrosia da parte sua nel 1961 a ritirarsi nella casa di riposo di Buddusò, lontano da Sassari, dove finalmente trova un pò di quella serenità che gli era sempre mancata.
La casa di riposo è situata in un caseggiato molto bello e signorile, ben tenuto nella parte edile e ben gestita da suore e dipendenti, arredata con mobili antichi ovunque. 
In questa casa Leonardo Ingolotti fu un ospite corretto, sempre rispettoso verso gli altri ospite, il personale e le suore anche se ....il bicchiere non lo aveva certo dimenticato. Tendeva anche a Buddusò ad esser solitario, difficilmente partecipava alle feste, in paese pur conoscendone il nomignolo attraverso ambulanti di Sassari che al mercoledì arrivavano in paese per il mercatino, non fu mai preso in giro o tanto meno umiliato, al massimo qualche volta succedeva che venisse chiamato Trappadè da qualche ragazzino. 
Tutti a Buddusò lo conoscevano e lo rispettavano, per tutti era semplicemente “Tiu Linardu”. Morì il 23 Dicembre del 1966, al suo funerale dietro il feretro c’erano tutti gli anziani della casa di riposo e i dirigenti della Associazione dei Mutilati e Invalidi di Guerra di Sassari e Ozieri con le loro bandiere. Fu seppellito in una fossa per poveri del cimitero del paese, rimossa nel 1990 e i suoi resti insieme a quelli di altri poveri sistemati in una fossa comune.


Tore Sanna - (like 1955)

PS: La ricerca è tutta documentata compresa la documentazione riguardante i familiari. Le informazioni militari sono state attinte dall’archivio del ministero della difesa, mentre i dati relativi alla visita di leva e al periodo militare sono tratti dall’archivio di stato di Sassari.

sabato 29 ottobre 2016

POZZU DI BIDDA


A cura di Manuela Trevisan


Sassari mea. Beddi erani li tempi di gandu eru minoredda e faravu a carrera a giugga' cun la puppia. Tutti li pizzinni femmini, aviami una puppia oppuru lu siivvizziu di caffe pa' giuggà a fa li cummari chi aisettani li mariddi chi torrani da trabaglià. Fazziami finta di ciarammiddà, cumenti fazziani avveru li manni. 
Aisittavami chi n'azzava lu caffè, e ciaramiddendi, ciaramiddebdi, fazziamu puru finta di bizziru. Ugna tantu, calche pizzinnu invireschiddu, zi dazzia voltha tuttu cun una pallonadda di palloni di pezza. Erami tutti un poggareddu digraziaddi. Lu palloni chi si buffava, era troppu caru da cumparà. E tandu noi a frasthimà, cumenti fazziani li manni. Vainnorammara vai... tu e lu pallone. Lu santu di ga' t'ha fattu. Una vostha, m'ammentu chi erami accosthu a naddari, e babbu m'ha intesu frasthimendi,, M'ha dittu,... LILLI' ... abarai a vidè chi Gesù bambino, t'ha intesu e lu rigaru accannu ti lu piglia da innè Mattora. A vil'amminteddi a Mattora? era lu caibbunaggiu storico di Pozzu di bidda, Chi beddi tempi. Zi vuriami tutti umbè be. POZZU DI BIDDA CANTA JENTI HA VISTHU NASCI' E MURI'.
Quando ritorno a Sassari, devo per forza di cose passare in quella piazza. Guardare al 3 e ricordare mia nonna che mi chiamava dalla finestra. Lillina,,, azzanni a sobbra chi è ora di magnà. Nonnu toiu ha gia ischuminzaddu. Ajò.... Trubba sobbra. La nostalgia è davvero tanta. Permettetemi una lacrimuccia.

POZZU DI BIDDA 1980-81
Ma voi... niente lacrime. Invece, se questo racconto vi è piaciuto, sarei grata se metteste un bel like e lo condivideste con i vostri amici. Non facciamo perdere la storia e il profumo di quella Sassari che tanto abbiamo amata.


Grazie. Un abbraccio.

sabato 8 ottobre 2016

La vera storia dello stemma di Sassari

A cura di Sassari Storia  - 

Questo primo video dedicato allo stemma di Sassari è intessuto di documenti visivi e scritti oltre che al commento vocale, ma i metodi per affrontarli sono risultati difficoltosi a causa delle svariate improbabilità che a tutt’oggi ne caratterizzano le loro incertezze storiche. Si parla addirittura di ippopotami oltre che di scudi e di torri, quindi è facile capire e far nostre, insieme agli autori, le perplessità e le inevitabili contraddizioni che fino ad oggi sono state palesate da tutti gli storici e studiosi che si sono appassionati all’argomento. Comunque, riteniamo che questo primo lavoro (al quale, dopo l’esperimento di altre opportune ricerche, ne seguirà un secondo), sia meritevole delle dovute attenzioni da parte di tutti NOI.Nel ringraziare,ancora una volta tutti i fautori, auguriamo buona visione. 

Nel ringraziare ancora una volta tutti i fautori, auguriamo buona visione.


La storia della nostra città per noi è molto importante. Se questa testimonianza è stata di tuo gradimento, ti saremmo grati se volessi dedicarci il tuo  "Mi Piace e la condivisione"










A cura di : Sassari Storia
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venerdì 23 settembre 2016

"FARADDI LI CANDARERI A FORA LI BRASGERI"


A CURA DI MARIO GRIMALDI


“Fallu Baddà”


Si inizia il mattino del 14 agosto, di buon ora, ogni Gremio ritira, dalla cappella della propria sede, il candeliere e lo trasferisce presso l’abitazione dell’ Obriere dove si inizia la vestizione che avviene in allegria, a suon di piffero e tamburo. Tutto sotto gli occhi degli astanti, che tra un buon bicchiere di birra o di vino annaffiano gustosi antipasti (olive, salsiccia, formaggio - possibilmente marcio), mentre nulla sfugge del tradizionale rito, agli occhi colmi di curiosità. Già dal primo pomeriggio i candelieri, addobbati di tutto punto, (qualcuno a braccia, altri in moto carrozzella o su un furgoncino) vengono trasferiti in Piazza Castello - luogo di raduno - in attesa dell’inizio della "faradda", che generalmente ha inizio intorno alle ore 18/18,30. Tra il gran fragore degli spettatori, una enorme fiumana di persone, che si articola per tutto il corso Vittorio Emanuele, dopo aver attraversato Largo Cavallotti, per proseguire successivamente per Corso Vico e fino alla meta finale di Piazza Santa Maria, i CANDELIERI di nastri e bandierina vestiti, sfilano portati dai coloriti portatori che si esibiscono in faticosi balli diventando oggetto di fotografi dilettanti ma anche di veri professionisti impegnati ad immortalare la festa più grande e sentita a Sassari. 
In tarda serata, tra un “FALLU BADDA” e un “ohoh….ohoh.. ooo”, arrivano a Santa Maria, dove, davanti alla chiesa continuano le loro evoluzioni e balli. Ed è, infine , il momento di entrare in chiesa per lo scioglimento del voto; i “CERI” saranno disposti intorno al cataletto della Vergine dormiente, mentre la cerimonia di preghiera si conclude con la benedizione. L’ingresso in chiesa si svolge, col massimo rigore, in ordine inverso rispetto a quello di sfilata che, fino all’ultimo scorso anno era il seguente - <(quest’anno 2016 è stato ammesso alla sfilata un altro candeliere (quello dei macellai che dopo aver salutato presso la chiesa del Rosario la Madonna e acquisita la benedizione dal Vescovo sarà il primo a iniziziare la "faradda") > -

FABBRI, PICCAPIETRE, VIANDANTI, CONTADINI, FALEGNAMI, ORTOLANI, CALZOLAI, MURATORI, SARTI, MASSAI.
COMPITO DELL’ULTIMO CANDELIERE , QUANDO ARRIVA DAVANTI AL CIVICO (ANTICO PALAZZO DI CITTA’), DOVE IL SINDACO ATTENDE, E’ QUELLO DI ENTRARE NEL PALAZZO, DOVE SCAMBIA LA PROPRIA BANDIERA CON IL GONFALONE DEL COMUNE, ADEMPIENDO AL COSIDDETTO RITO “DELL’ INTREGU”; SI BRINDA " A ZENT'ANNI", E SI SI INVITA IL SINDACO AD UNIRSI AI CANDELIERI NELLA SFILATA.

Un’altra curiosità riguarda il Candeliere dei Muratori che quando arriva in prossimità della chiesa di Santa Maria, In Corso Vico devia il suo percorso in direzione di quello spiazzo dove in antichità si trovava uno degli accessi alla città (Porta Uzzeri): qui esegue un ballo finalizzato a bloccare, in termine simbolico, un eventuale nuovo tentativo, da parte della peste, di entrare in città.( Si dice che l’ultima vittima della peste, in Sassari, sarebbe uscita,per l’appunto, dalla porta ubicata in detto sito di Largo Porta Uzzeri).
(mariogrimaldi)

DAI RICORDI ESTIVI DI UNA SASSARI DI ALLORA
<LA FESTHA MANNA> 

“Non c’è un sassarese che d’agosto non senta un tempo nuovo maturare e col tempo, il gusto, una sete di godersi la vita per le strade. E adesso era Ferragosto, i Candelieri, la Festa Manna. 

Un nostro concittadino (poteva essere ognuno di noi) saliva contro corrente, lungo il Corso affollato di gente che andava in qua e in la, accaldata e sorridente, frenetica non appena un tamburo da un angolo a dal fondo dell’imbuto che pareva il Corso a quell’ora faceva vibrare le finestre e oscillare i drappi, le cortine, i tappeti esposti sui davanzali. Benito (chiameremo così il nostro amico e concittadino) saliva dunque, innamorato di quella gente e di quel chiasso di pifferi e tamburi, attento a scorgere se in alto si vedesse la fiamma del candeliere più antico. Lungo il Corso, oltre il palazzo di Città coi balconi bardati come puledri e le guardie in montura sul portone, la gente diventava folla, siepe umana addensata ai lati, contro le vetrine di Spillo, di Dallay, del Bar Peru, di Bonino, di Trombelli e, più in alto del vecchio Margelli, contro le vetrine della Ditta Rossetti <casa fondata nel 1870>. Il suono dei pifferi , il rullo dei tamburi dal Largo Cavallotti si ampliava in Piazza Azuni, si gonfiava come se il vento suonasse nelle canne o sui cuoi consunti, come se gli stendardi verdi rossi gialli e i cappelli degli obrieri, le code delle redingote e persino l’elsa delle spade dei Viandanti e dei Carrolanti fossero anch’esse piene di musica, di un vento aspro e forte degli umori degli orti delle vigne dei giardini.


I Candelieri avanzavano fra l’ondeggiare delle frasche e il dipanarsi dei festoni azzurri rosa verdi e gialli inchiodati ai Candelieri dipinti e traballanti portati a spalla da squadre di giovani frenetici che marciavano al ritmo del tamburo e del piffero, incrociando il passo, ruotando ora a destra ora a sinistra, più avanti più indietro, in alto, in basso, in ginocchio, fino al ballo più importante dinnanzi al balcone dal quale il sindaco irraggiungibile e irreale agitava la mano in un saluto che si perdeva tra i fumi e i vapori di tutta quella agitazione. Scendevano come ogni anno verso il grano dei Massai, verso gli ulivi cerulei e le mole dei frantoi di Godimondo e di Via La Cona, verso il grigio verde del letame, che profuma fin dalla soglia di Santa Maria di Bethlem. Benito gli andava incontro estasiato, coi sensi aperti a quelle fragranze ,a quelle voci, a quei suoni ch’erano il passato e il presente della sua città."





mercoledì 21 settembre 2016

ACCADDE A SASSARI - NEL 1795 - QUINDI LEGATO ALLA STORIA CITTADINA












A cura di Mario Grimaldi



(Pura storia sassarese per la soddisfazione degli Amministratori.. e spero... non solo) 



Appunto nel 1795 abitava in Via Università. vicino all'incrocio con Via Turritana, una famiglia composta da marito, moglie, un figlio e una figlia, più altre due persone che non si sapeva che mansioni avessero, considerato che per le faccende domestiche vi erano quattro donne. La casa era grandissima e occupava una parte lungo Via Università. fra i "quattro cantoni" di questa e la via che oggi è denominata Largo Pazzola. 

Lo stabile aveva il piano terreno ed il primo (composizione di quasi tutte le abitazioni di allora), e le camere, tra piccole e grandi, dovevano raggiungere il numero di diciotto/ venti. La gente si chiedeva di cosa potevano farne di tutti quegli ambienti di calpestio. 
Si sapeva che il padrone andava quasi tutti i giorni in quella che oggi è P.zza Azuni, ma che al tempo era occupata dalla chiesa di Santa Caterina e dal palazzo del governatore di Sassari, e proprio li si recava il signore che risiedeva in via Università. 
La gente che lo aveva sentito parlare asseriva che non doveva esser sassarese, e forse neanche sardo. Le persone che lo salutavano lo chiamavano don Badessi o don Antonio, e si diceva che fosse un importante funzionario della regia governazione, presso la sede della quale, appunto, si recava tutti i giorni. 
Il governatore si chiamava Antioco Santuccio, ed era nato proprio a Sassari, uno dei pochi sassaresi che ricopri questo importante incarico (e non certo perché gli altri sassaresi erano incapaci!). I nostri concittadini, infatti, non erano allora - e in linea di massima non lo sono neanche oggi- quelli che venivano chiamati "imbroglia popolo", e quindi non ... legavano, e né hanno mai fatto nessuna inutile chiacchera con gente simile. Perciò non facevano carriera dove si assumevano soltanto persone pronte sempre a piegare la schiena. 
E di questo si deve, allora, essere accorto, forse, il concittadino divenuto - quasi, forse, senza volerlo - governatore di Sassari. 

Santuccio aveva infatti studiato leggi, la storia e le tradizioni in generale compreso tutto quello che in particolare interessava la nostra città. Quando studiò teologia i suoi parenti pensarono che le sue intenzioni fossero quelle di farsi prete. Invece, improvvisamente, decise di arruolarsi nell'esercito per perseguire la carriera militare, nell'ambito della quale, dopo pochi anni arrivò al traguardo di colonnello nel reggimento di Torino. Rientrato in Sardegna gli furono concessi diversi importanti incarichi fino ad arrivare a quello di governatore di Sassari. Ma quello era sopratutto un incarico politico, che non era adatto a lui, ma per gli "imbroglioni" e non per una brava e onesta persona come era il nostro concittadino, che non sapeva ne poteva immaginare che in quegli ambienti anche il più caro degli amici poteva, soprattutto allora, pugnalarlo nel fianco. Il gran difetto del nostro governatore era la buona fede e la fiducia nel prossimo che avrebbe dovuto esser onesto ed era, invece, quasi sempre traditore. 

Ma ritornando a Don Antonio Badessi, il proprietario della casa di Via Università, che era alle dipendenze del governatore Antioco Santucciogioi ed ai suoi amici,. 
Questo impiegato era però, si è saputo dopo, un gran ruffiano del diabolico gruppo di disonesti feudatari e simili, contrari a Giommaria Angioi, ai suoi amici e alle sue idee. 
Chi conosce la storia sarda ricorderà che l'accusa più grande che gli avversari cagliaritani divulgavano e dirigevano ad Angioi ed ai suoi amici, era quella di avere promesso ai francesi di aiutarli in caso di occupazione della nostra isola. 
Le redini dell'azione e della lotta contro i proprietari di tutti i terreni dell'isola, li tenevano, all'inizio, i compagni di Angioi A Cagliari, il prete Muroni a Sassari e nei grossi centri vicini. I feudatari (di Cagliari e Sassari), proprietari di quasi tutti i terreni dell'isola/e che avevano anche potere decisionale nelle cause civili e penali/, non vedevano di buon occhio le ribellioni di Angioi, Muroni e compagni. 
Intanto le popolazioni deipaesi e di Sassari non riuscivano più a procurarsi da che vivere ed erano disperati, fino a ché nel 1795, si sono ribellati e, tutti insieme, paesani e cittadini, hanno saccheggiato negozi, gli uffici e le case dei feudatari, impossessandosi di tutto quanto ciò che riuscivano a prendere. 

La popolazione, che in principio aveva ragione, ha poi esagerato e si è fatta prendere la mano, arrestando persino il governatore e l'allora Arcivescovo di Sassari Mons. Della Torre, con l'intento di consegnarli al viceré che, invece, li fece liberare prima che arrivassero a Cagliari. 

Le fazioni Cagliaritane, però, hanno tentato di infangare ancora il governatore sassarese, accusandolo delle stesse colpe attribuite ad Angioi, cioé di intrallazzi politici e tradimento a favore dei francesi e a danno della nostra isola. 

Ed ecco che ritorna in campo il discusso personaggio abitante della casa di Via Univerità angolo Via Turritana. Sembra, infatti che in questa faccenda esposta a proposito del governatore sassarese, dei feudatari e di Angioi, l'infido impiegato e i suoi degni figli, abbiano avuto la mano....lung nei fatti sassaresi a proposito e a danno del governatore Santuccio. 
Infatti, finiti i disordini a Sassari, e ristabilita e la calma, i sassaresi hanno tentato di sapere tutta la verità su quanto era successo, e come mai tanti "pezzi grossi" erano spariti dalla città (fra i primi il misterioso don Antonio Badessi). Erano scomparsi anche i due uomini della casa di viaTurritana, la figlia, il figlio e pure le serve. 
Pian piano si è arrivati a sapere che il misterioso Badessi,(conosciuto da pochi) pezzo grosso dell'ufficio del governatore di Sassari, era un confidente del gruppo cagliaritano che, forse, abusava della fiducia del vicere, che era, di contro, una persona onesta, forse tra i pochi, e che si chiamava FILIPPO FERRERO DELLA MARMORA, conte. 
Insomma quel funzionario governativo che si chiamava Badessi, era un gran ruffiano dei notabili cagliaritani.


Si è scoperto che i figlio e la figlia dell'infingardo compivano frequenti viaggi a Cagliari (quali complici delle ruffianerie paterne, per riferire ciò che succedeva a Sassari), accompagnati dai due uomini che non si sapeva quali funzioni (ora chiare) avessero in casa della spia Badessi. Venne fuori allora, inoltre, che mentre il figlio di quel ruffiano riferiva, la sorella si operava per far trascorrere bene le notti (ma anche i giorni) ai pezzi grossi cagliaritani. 
"Insomma, il povero governatore, onesto ma boccalone, si avvaleva della collaborazione di un uomo fidato!.... 
Don Antioco Santuccio si fidava: era, infatti,come già scritto. uno che non pensava male di nessuno fino a prova contraria. Insomma era proprio sassarese in buona fede, pronto di persona a pagare se sbagliava. 
E meno male che il RE (che era Vittorio Amedeo III) lo conosceva molto bene, ed infatti, annullò tutta la manovra degli infidi del viceré di Cagliari, riconoscendo la piena innocenza del nostro governatore e, anzi, concedendogli la promozione a tenente generale e "generale delle armi del Regno". 

PS :  IL GOVERNATORE ANTIOCO SANTUCCIO HA LASCIATO ALL'OSPEDALE DEI POVERI DI SASSARI TUTTI I SUOI BENI, QUANDO E' MORTO NEL 1804.



giovedì 15 settembre 2016

SASSARI - ECONOMIA REALE ...TANGIBILE



  Un groppo alla gola mi assale....

La ricordo , molto movimentata, traffico intensissimo e parcheggio dei carri con cavallo ( li barrocci e li tumbarelli ), con i loro carichi di ortaggi provenienti dalle campagne e dai paesi vicini; i ricordi mi riportano anche a rivedere quei ragazzi , un po più grandi di me, impegnati nel loro ruolo di trasportatori delle merci appena scaricate: si servivano di ceste o corbule che poggiavano sulla testa ed è per questo che li chiamavano, "li pizinni cu lu mòiu in cabbu". Ricordo Il rifornitore di benzina; le moto che si trovavano in questa foto in sosta vicino alla palma; la fabbrica APE; il deposito del ghiaccio ( a destra in senso ascendente di fianco al mercato); e come dimenticare i vespasiani, posti a dimora, sempre li in aderenza alle mura del mercato, a far "bella mostra" in onore del folclore sassarese. 
La piazza si ricongiunge al viale Umberto, più verso la parte alta, a sinistra incrocia Viale Trieste e, a destra la via del Carmine, quella via che prende il nome, dall'allora convento dei Carmelitani ,a proposito dei quali è opportuno ricordare che, dove oggi è ubicato il mercato, prima trovava il suo ampio spazio il loro giardino. Inutile sottolineare che la nostalgia è tanta. Amici di Sassari, sarebbe davvero bello se in segno di rispetto per la nostra storia e per le nostre origini, condividiate tutti questo post e divulghiate anche ai giovani di oggi le immagini di quei tempi. Quei tempi che non torneranno più ma ci insegnano che non si viveva di mercati azionari ma di mercati veri e propri. Mercati tangibili che creavano sviluppo e lavoro nella nostra città. Oggi si chiama ECONOMIA REALE. A zent'anni

©  2016 ANTONIO CARTA


domenica 11 settembre 2016

Tutti a Vinnannà - Sassari di ieri.

Da un post a cura di Mario Grimaldi.


CURIOSITA' NELLE CONSUETUDINI DI SASSARI DI ALLORA:




IN ZONA VENDEMMIA (evento per noi sassaresi sempre molto atteso).


"Come scrisse Renato Pintus, approfittando dell'occasione della vendemmia Tutta Sassari era in campagna nell'ottobre e dall'una all'altra vigna a far visita vicendevolmente, si facevano pranzi o merende comuni, si dividevano con piacere gli incomodi, si ricevevano gli amici degli amici, si viveva una vita tutta nuova, tutta sassarese, un attività, forse così intensa che non si esplicava in altre città agricole, forse perchè nessuna aveva le campagne così vicine all'abitato come le nostre".
Molto spesso le belle comitive <greffe> si recavano in campagna sull'imbrunire del sabato, con torce a vento o palloncini luminosi e la nottata costituiva la parte migliore del divertimento. Non si deve credere che la comodità delle abitazioni costituisse attrattiva da lusingare le allegre brigate col miraggio di confortanti riposi: tutt'altro!

Si sapeva bene che ogni comodità mancava, eppure ogni disagio si affrontava con noncuranza, anzi con allegria, con quel buonumore caratteristico da cui scaturiva l'arguzia, la risata schietta della persona felice.
Talvolta poche stanze a pian terreno, in parte occupate dal tino, dal torchio e da altri attrezzi agricoli, erano l'unico rifugio dei festeggianti. Ivi si deponevano i soprabiti, i mantelli, le borsette da viaggio, i cappellini: fuorchè a guardarobe questi ambienti rustici non servivano ad altro.
Il teatro del divertimento era il patio <piazzale> dinnanzi alla casa dove ci si rifocillava, si ballava, ci si imparavano giochi di società e si accendevano infine i famosi falò (FUGGARONI) per giostrarvi attorno in una sorta di ballo tondo (da non confondere col ballo sardo).
A QUEL TEMPO DUNQUE RISALGONO LE "vignate sassaresi"?
Se le origini si devono all'impianto delle vigne, certo è che le vignate nacquero con Sassari....

Grazie per l'attenzione.

lunedì 22 agosto 2016

Lo stemma della tua città. (Prima parte)



Questo primo video dedicato allo stemma di Sassari è intessuto di documenti visivi e scritti oltre che al commento vocale, ma i metodi per affrontarli sono risultati difficoltosi a causa delle svariate improbabilità che a tutt’oggi ne caratterizzano le loro incertezze storiche. Si parla addirittura di ippopotami oltre che di scudi e di torri, quindi è facile capire e far nostre, insieme agli autori, le perplessità e le inevitabili contraddizioni che fino ad oggi sono state palesate da tutti gli storici e studiosi che si sono appassionati a questo argomento. Comunque, riteniamo che questo primo lavoro (al quale, dopo l’esperimento di altre opportune ricerche, ne seguirà un secondo), sia meritevole delle dovute attenzioni da parte di tutti NOI.Nel ringraziare,ancora una volta tutti i fautori, auguriamo buona visione. 
Nel ringraziare ancora una volta tutti i fautori, auguriamo buona visione.

#sassari
#sassari Questo primo video dedicato allo stemma di Sassari è intessuto di documenti visivi e scritti oltre che al commento vocale, ma i metodi per affrontarli sono risultati difficoltosi a causa delle svariate improbabilità che a tutt’oggi ne caratterizzano le loro incertezze storiche. Si parla addirittura di ippopotami oltre che di scudi e di torri, quindi è facile capire e far nostre, insieme agli autori, le perplessità e le inevitabili contraddizioni che fino ad oggi sono state palesate da tutti gli storici e studiosi che si sono appassionati all’argomento.Comunque, riteniamo che questo primo lavoro (al quale, dopo l’esperimento di altre opportune ricerche, ne seguirà un secondo), sia meritevole delle dovute attenzioni da parte di tutti NOI.Nel ringraziare,ancora una volta tutti i fautori, auguriamo buona visione. Nel ringraziare ancora una volta tutti i fautori, auguriamo buona visione.
Pubblicato da Manuela Trevisan su Martedì 20 ottobre 2015

domenica 21 agosto 2016

Rimaniamo in tema di musica. Quella delle origini. Quella importante.


A cura di : Giuseppe Idile



Un Grande Sardo Repubblicano.

Per sviluppare questo interessante argomento dedicato al padre dell'Inno ufficiale della Repubblica Italiana, ci pare doveroso iniziare con qualche notizia relativa ai suoi antenati.

Mameli: famiglia ogliastrina (Secc. XVII - XX). Le prime notizie risalgono alla seconda metà del diciassettesimo secolo; i suoi componenti esercitavano tradizionalmente la professione di notaio e diedero vita a diversi rami la cui genealogia è alquanto difficile da ricostruire. In particolare sono due i rami della famiglia da ricordare, entrambi provenienti da uno stesso in comune antenato originario di Arzana.

Il primo ramo continuò a risiedere in Ogliastra - precisamente a Lanusei - continuando la tradizione nell'esercitare l'attività notarile; ha espresso alcune notevoli personalità, una delle quali è il ministro Cristoforo Mameli, tuttora la discendenza è radicata a Lanusei.

Goffredo Mameli, simbolo del patriottismo italiano - Diritto di ...Il secondo ramo discende da un Giovanni Maria che agli inizi del XVIII secolo, divenuto segretario di Carlo d'Asburgo, fu investito di titolo nobiliare. I suoi discendenti dal 1784 ebbero il riconoscimento del cavalierato ereditario e della nobiltà isolana e si stabilirono a Cagliari. Da qui, agli inizi del XIX secolo, si trasferirono a Genova dove nacque, appunto Goffredo. Si estinsero agli inizi del ventesimo secolo.

Entrando nel vivo dell'argomento dedicato al nostro celebre patriota GOFFREDO, come già scritto, nacque a Genova nel 1827 (mori a Roma nel 1849), il padre si chiamava GIORGIO (Giorgio Mameli fu militare e uomo politico /nato a Lanusei nel 1798 e morto a Genova nel 1871/; deputato al parlamento subalpino; Ufficiale della MARINA SARDA si segnalò durante la guerra che questa condusse contro i pirati nordafricani e percorse una brillante carriera giungendo al grado di vice-ammiraglio. Stabilitosi a Genova sposò una Zoagli, dall'unione con la quale nacque, appunto, il nostro poeta; bene inserito nella società genovese, fu eletto deputato per la II legislatura subalpina in uno dei collegi della città ligure, ma per la prima era stato eletto nel collegio della sua città natale che, q quanto pare, da alcune fonti, fosse Cagliari. Dopo la morte gloriosa del figli, con il sostegno della sinistra fu eletto ancora deputato per la V legislatura in uno dei collegi della stessa Cagliari, ma nel 1854 si ritirò a vita privata dedicandosi allo studio della storia della Marina Militare.

Tornando a Goffredo: egli era di idee repubblicane, dopo aver combattuto valorosamente nella prima guerra di indipendenza abbandonò gli studi universitari, alla testa di un manipolo di compagni genovesi, accorse a fianco di Garibaldi alla difesa della Repubblica Romana. In quell'occasione conobbe Mazzini che gli ispirò l'inno militare, più tardi musicato da Giuseppe Verdi.

Goffredo morì a Roma per le ferite riportate in combattimento sul Gianicolo.

E' autore di numerosi componimenti poetici di carattere patriottico, tra cui quello più celebre che è l' Inno degli Italiani "FRATELLI D'ITALIA" composto nel novembre del 1847, musicato dal Novaro.


LIGURIA E DINTORNI | Mameli, il genovese che scrisse Fratelli d ...

martedì 9 agosto 2016

I CANDELIERI NEL PASSATO E NEL FUTURO


A cura di:

Mario Grimaldi (per il testo)

Capitano Musica (per la grafica)



Come tutti sappiamo, quella dei Candelieri, è una processione che si svolge a Sassari alla vigilia della festa dell’Assunta il 14 di agosto.Ha origini antichissime e si festeggiava nella chiesa di Santa Maria di Betlem dove per otto giorni la statua dell’Assunta, calzata d’argento, veniva esposta sopra un letto attorniato da grossi ceri, pronta per il transito in cielo (la cosiddetta “Dormitio Virginis” , che si vuole derivata da costumanze culturali bizantine).All’ottavo giorno, alla presenza dei consiglieri della città e di una gran massa di popolo festante, entravano nella chiesa OTTO candelieri e dodici personaggi che rappresentavano i dodici apostoli. Dopo la cerimonia religiosa i candelieri sfilavano nelle vie della città. I candelieri, detti anche “colunna incoronada”, hanno sostanzialmente mantenuto nel tempo la loro struttura lignea (altezza intorno ai tre metri); sono costituiti da tre parti: la base, il fusto cilindrico e il capitello superiore decorato cui si attaccano i nastri; i nastri di seta, lunghi 7-8 metri, sono tenuti tesi da bambini, in modo che il sole, battendovi sopra, li faccia brillare al vento.I candelieri sono portati a spalle o a braccia da portatori, vestiti con camicie diversamente colorate a seconda del Gremio di appartenenza, il compito di questi portatori è ,anche, quello di farli “ballare”, agitandoli al ritmo di brevi, veloci girotondi accompagnati dal suono del piffero e del tamburo. < Li candareri so baddariani > ha scritto in un suo verso il maggior poeta sassarese del Novecento, Salvator Ruiu: per tradizione, infatti, quanto più è “ballerino” il candeliere tanto più sarà propizia l’annata agraria che verrà. Ogni Gremio - cioè ognuna delle antiche corporazioni di arti e mestieri che hanno diritto a sfilare in processione e a sciogliere il voto all’Assunta, fatto alcuni secoli fa - ha il suo candeliere dietro al quale sfilano, in pompa magna, i loro componenti. L’itinerario della processione è rimasto immutato nel tempo: dalla chiesa del Rosario e da Piazza Castello (lu pianu di castheddu) sfilano ondeggianti tra la folla scendendo (La Faradda) per tutto il Corso Vittorio Emanuele (Piazza) Giunti all’antico Palazzo di città (Civico) i rappresentanti del Gremio più prestigioso, quello dei Massai (proprietari contadini) ricevono la bandiera dal sindaco il quale, dopo aver brindato insieme a loro (“ A Zent’anni”) si unisce alla processione. E’ questo un momento di grande intensità, perché dal comportamento della folla si valuta la popolarità del primo cittadino in base ai fischi o agli applausi. Da qui inizia così la discesa dei candelieri lungo la parte finale del Corso Vittorio Emanuele fino a Porta Sant’Antonio e poi alla chiesa di Santa Maria, dove è la madonna giacente. Prima di entrare nella chiesa, i candelieri si schierano nello spiazzo sottoponendosi a un altro rapido rituale, in cui dalla folla (in genere giovani e ragazzi detti “Baggiani” e “Cuglietti” ) vengono strappati “li betti” cioè i lunghi nastri di seta variopinti che scendono dall’alto dei candelieri. Quindi i “ceri” entrano in chiesa secondo un ordine prestabilito disponendosi attorno alla statua Mariana rendendo omaggio con un inchino all’ arcivescovo e al clero. Dopo la cerimonia religiosa i rappresentanti del Gremio dei Massai accompagnano il sindaco e i consiglieri in Comune, dove tra brindisi e rinfreschi la celebrazione continua. La tradizione, che si rinnova tutti gli anni, ha origini antichissime, ed è legata allo scioglimento di un voto fatto in occasione dell’improvvisa cessazione di una peste, probabilmente nel secolo XVI, anche se non è da escludere che i candelieri abbiano un’origine ancora più antica: è stato notato, infatti, che una cerimonia simile, anch’essa in onore dell’Assunta, si svolgeva a Pisa ed esisteva ad Iglesias, città “ pisana “ per eccellenza. La cerimonia così come si presenta oggi potrebbe esser frutto non solo di una evoluzione del rito attraverso il tempo, ma anche di un rinnovamento connesso al voto o a una sua iterazione (dal secolo XVI al XVII, gli anni delle grandi epidemie di peste nell’isola).”””


< La festa dei candelieri si svolge in onore dell’Assunta anche a Ploaghe e a Nulvi con modalità divese e con tre soli candelieri (di foggia diversa e di mole maggiore). Inoltre, non è da molti anni che la stessa celebrazione ha ripreso anche a Iglesias dove, come si è accennato, nel Medioevo si svolgeva una festa di origini pisane.
@mariogrimaldi.

domenica 7 agosto 2016

I GREMI - Di Mario Grimaldi





I GREMI 


Le Corporazioni d'arti e mestieri ha origini molto antiche, nessuno poteva esercitare un mestiere se non era iscritto alla Corporazione, nè intraprendere un lavoro o aprire un'attività senza prima aver superato un esame, e senza aver fatto in precedenza un lungo tirocinio per essere dichiarato Maestro. La parola "Gremio" è di origine catalana e, la parola Gremio si usava per adunanze, riunioni di persone, per lo più a scopo religioso. Si faceva molto spesso una confusione tra maestranza, confrarie e gremi; tanto è vero che nei documenti (Ordinazioni) di Sassari non si parla mai di Gremio, ma sempre di Confraria, mome che è rimasto fino ad oggi alle sole Confraternite religiose. Mi fermo qui per darvi modo di parlarne anche voi. Nella foto sono rappresentati 13 gremi,













La Charta De Logu - Di Mario Grimaldi






La Charta De Logu - Di Mario Grimaldi


Nel 1369 Mariano d’arborea innalzò ancora una volta il vessillo dell’indipendenza sarda. Attacco SASSARI e la occupò. Vi rimase fino al 1371, come restauratore del regime dei Giudici. Gli storici riferiscono timidamente che in quegli anni Mariano, consultati gli STATUTI SASSARESI, compilò la “Charta De Logu” o Codice di leggi aderenti al “modus vivendi” sardo. Il re di Aragona non ricorse alla guerra: Diplomaticamente concesse a Mariano privilegi speciali e il diritto di governare il Giudicato di Arborea come un viceré isolandolo negli stretti confini del campidano oristanese. A SASSARI, espulsi sos sardos, la popolazione cominciò a trasformarsi in una società nuova sotto la pressione dell’organismo politico degli stamenti: militare, reale, ecclesiastico. Alta società: i nobili e i ricchi rappresentavano lo stato militare, i membri del Consiglio e i funzionari del Comune, i professionisti, lo stato reale; il Clero secolare e regolare, lo stato ecclesiastico. Alta società sotto l’egida del Governatore - Riformatore, munito del potere assoluto militare e giudiziario, con la su Corte e Guardia del Corpo. Emblema: IL CASTELLO. Il popolo, composto da famiglie di agricoltori e artigiani più o meno benestanti e da famiglie di Giorgi senza arte ne parte, ondeggianti tra la miseria e povertà, rappresentava la società bassa, che o per opportunismo o malcelata ambizione si atteggiava ad alta società con i Gremi o con le confraternite, respingendo in qualche modo i “Giorgi” o la bassa forza al livello dei “sottogremi” e delle “sottoconfraternite”. Così nella cityta alta il Castello, lo stamento militare; a metà della “gran via” (Platha) , lo stamento reale, e il Duomo e le altre chiese, lo stamento ecclesiastico; nella città bassa: il Rosello e quattrocento fontane con Re Giorgio e la Corte dei Gremi, sottogremi, le confraternite e sottoconfraternite.