mercoledì 6 agosto 2014

LA CARBONAIA

A CURA DI:  Mario Grimaldi.



"Lu caibbonaggiu e la ghea"; Quante volte ci è capitato sentire da qualcuno che entrava in un ambiente impregnato dal fumo “Mamma mea pari d’assè in una ghea” (mamma mia par di essere in una carbonaia). < Si tagliava la legna sul luogo stesso dell’abbattimento dei fusti e accatastata a seconda della grossezza: i tronchi da una parte ed i rami dall’altra. Tagliata la quantità di legna voluta e bastante per la produzione del carbone, cominciava l’altra non leggera fatica: il trasporto attraverso “cammineri”(piccoli sentieri) ostruiti da rovi e pietre, fino allo spiazzo precedentemente scelto per la "ghea". I tronchi venivano trasportati, naturalmente a braccia, uno o due alla volta, mentre i rami tramite robuste forcine di legno appoggiate sulle spalle dei trasportatori. Si raggiungeva il carbonaio che aveva scelto uno spiazzo al riparo dal vento dove aveva preparato un piano battuto e possibilmente asciutto, scavandovi attorno un piccolo canale che in occasione di piogge potesse raccogliere l’acqua per impedire l’allagamento della base della carbonaia che inevitabilmente avrebbe compromesso la combustione.
La base era un cerchio pressoché perfetto, ottenuto conficcando al centro dello spiazzo un bastone resistente dal quale partiva una cordicella che faceva da raggio. Il carbonaio tenendola corda ben tesa e girando attorno tracciava con un altro bastone ad essa legato, la circonferenza sul terreno (ecco il compasso!). Sistemati attorno, secondo l’ordine dell’utilizzo, tronchi e rami, si iniziava la vera e propria costruzione della “ghea”: si disponeva la legna in più strati, a partire dalla più grossa alla base, per terminare con quella più sottile verso la parte alta della catasta. Al termine dell’operazione la carbonaia rassomigliava un enorme cono smussato in cima dove, appunto, si apriva un ampio cunicolo, con cura lasciato sempre aperto man mano che si disponeva la legna, che comunicava con la gabbia alla base attorno alla quale si costruiva un muretto di pietre che serviva ad arginare qualunque movimento dovuto all’assestamento della legna man mano che avveniva la combustione. Finalmente l’intera carbonaia veniva ricoperta con foglie e ramoscelli di cisto che fungevano da appoggio per la terra umida che vi si cospargeva sopra. Ed ora, il carbonaio accendeva un grande fuoco vicino alla carbonaia, e dopo aver appoggiato una scala a pioli alla parte concava della stessa e quando la brace formatasi era oramai tanta la raccoglieva in un contenitore e salito sulla scaletta la riversava, insieme con ritagli sottili di legna e ramoscelli spezzettati, attraverso il cunicolo lasciato , giusto per questa operazione aperto, all’interno della catasta fino a riempirlo. Dopo alcuni giorni di combustione, durante i quali il carbonaio provvedeva ad alimentare il fuoco con quantità sempre minore di legna - in quanto la carbonizzazione avviene gradatamente a cominciare dall’alto verso il basso e dall’interno verso l’esterno -, con un paletto di legno appuntito praticava dei fori nella parte alta della carbonaia, per favorire la fuoriuscita del vapore acqueo formatosi all’interno della catasta man mano che il fuoco investiva gli strati di legna. Allorché il fumo scemava, faceva altri buchi più in basso, chiudendo i primi e continuando in questo modo giù giù fino alla base. Alla fine perché carbonizzasse bene anche la legna più grossa alloggiata nella parte bassa del criteriato ammasso di legna toglieva alcune pietre del muretto costruito tutt’intorno, praticando, in tal modo, grandi aperture che favorivano la fuoriuscita di denso vapore che col suo tipico e invasivo odore si spandeva in tutta la zona... figuriamoci come ne venivano impregnati gli indumenti e anche la pelle del carbonaio a contatto diretto!Quando si era certi che la “GHEA” si era del tutto spenta si lasciava raffreddare per bene ancora per qualche giorno prima di iniziare la raccolta del prodotto finito: IL CARBONE che veniva insaccato da “uomini neri” tanto da mimetizzarsi tra il carbone stesso, e trasportato a spalle presso il luogo dove veniva caricato sui carri per esser trasferito presso il cortile o il deposito del carbonaio e da li , infine , venduto ai commercianti che poi avrebbero rifornito l’utenza interessata all’uso. Pareva semplice e non faticosa la produzione del carbone.... ed invece!