giovedì 14 novembre 2013

RE CARLO ALBERTO A SASSARI

Assistendo a una conferenza organizzata dal FAI e condotta dal Prof. Brigaglia, sul tema “Identità storica di Sassari”, si son risvegliate in me alcune curiosità sulla nostra città del periodo ottocentesco, memorizzate da varie letture di antichi testi.
In particolare mi torna alla mente la visita del Re Carlo Alberto nel 1839 a Sassari, sollecitata dalla Municipalità sassarese per ottenere il permesso di poter arieggiare la città, con degli squarci sulle mura, ed evitare così il costante pericolo delle pestilenze, che su Sassari incombevano continuamente, a causa della precaria igiene esistente, oltre che la massiccia concentrazione della popolazione in un sito non abbastanza sufficiente; quindi anche la richiesta di poter costruire fuori porta!
Il Re Carlo Alberto fu ricevuto in Pompa Magna, con ingresso in città, dalla Porta Sant’Antonio, che da quel momento assunse il nome di Porta Regia.
Finalmente, dopo un’attenta verifica, il Re Carlo Alberto si rese conto che la città di Sassari aveva seriamente bisogno di uscire dalle mura, e i suoi abitanti godere di una miglior qualità della vita, costruendo fuori delle mura e organizzare così una nuova città ottocentesca.
Quindi impartì gli ordini affinché si procedesse con criterio alla trasformazione della città di Sassari, arieggiandola il più possibile, con l’abbattimento parziale delle mura, poi programmare un piano di espansione abitativa all’esterno del perimetro murario.
Il caso volle che la Municipalità prese alla lettera quanto disposto dal Re, e cominciò ad abbattere parti delle mura, radendo al suolo per prima, la Porta Regia senza lasciarne neanche uno spezzone a memoria dei posteri.
Come si può infatti notare, a parte quell’avancorpo a forma di torre quadrata, che si trova a sinistra per chi scende alla fine del Corso Vittorio Emanuele, non s’intravvede altro niente.
Non sarebbe male, in occasione di una prossima riqualificazione della piazza, se si portassero alla luce, durante gli scavi, almeno le fondamenta di una memoria storica, che ha tutto il diritto di essere recuperata e protetta diversamente, piuttosto che stare sepolta inutilmente.
Un altro fatto che mi torna alla mente è l’abbattimento del Castello, ultimo baluardo di una città con mille anni di storia, che ha avuto il triste destino di essere eliminato per banali motivi.
Vi riassumo brevemente la vicenda: nel 1850 circa i proprietari dei palazzi che erano costruiti fuori porta, precisamente quello che sovrasta i Portici Bargone, certi Valdettara e Rau, di origine genovese, inoltrarono un’istanza al Comune affinché fosse abbattuta una torretta del castello, poiché questa impediva loro di vedere il mare. Naturalmente Il Comune non acconsentì, intanto perché il Castello apparteneva alla Curia e poi anche perché non riteneva giusto che si mutilasse uno stabile storico di quella portata.  
Il tempo scorreva e il Comune sollecitava continuamente la Curia affinché mettesse in sicurezza il Castello, poiché stava diventando un rudere pericoloso per l’incolumità altrui. Questi però rispondevano che non avevano sufficienti denari per rimetterlo in sesto, quindi a loro volta chiedevano collaborazione alla Municipalità, ma non si misero mai d’accordo.
Passati altri vent’anni, i famosi richiedenti l’abbattimento della torretta, trovarono compiacimento in una nuova Amministrazione Municipale, la quale stanca dei continui solleciti alla Curia per la sistemazione dell’antica vestigia, dopo una scrupolosa perizia ne ordinò l’abbattimento, tramite una delibera che recitava:, poiché dopo vari solleciti rivolti alla proprietà del Castello, per la sua messa in sicurezza, non essendoci volontà e possibilità economica di intervenire, essendo lo stabile diventato un rudere a rischio di crollo, oltre che ricordare tristi momenti dell’Inquisizione, quando si decretavano le condanne a morte, si procederà al suo abbattimento, nei tempi e nei modi dovuti, decisi da codesta Amministrazione!
In questo infelice modo fu decisa la sorte di un Castello, con settecento anni di storia, i suoi resti riposano in pace, utilizzati come materiale di risulta per la costruzione del terrapieno, sotto viale Trieste,
a malinconica memoria di una testimonianza storica, che ancora oggi svolge un ruolo nella città, collegando il rione di Capuccini a viale Umberto.
Così i due concittadini genovesi poterono vedere il mare, ma il brutto ricordo dei condannati a morte è sempre vivo, com'è vivo un altro triste ricordo a Roma di quando i leoni sbranavano i cristiani nell’arena, ma il Colosseo è sempre in piedi, come simbolo della Città eterna, forse perché non impedisce la vista a nessuno.
Per concludere, dopo queste curiosità, adesso che si sta provvedendo al rifacimento e riqualificazione della Piazza Castello, sarebbe il caso che si disegnasse il suo perimetro, almeno la parte Sud, con un disegno nella nuova pavimentazione, così potremo almeno dire: ecco, qui vi sono le fondamenta dell’Antico Castello e la memorabile porta Castello.

Tino Grindi