

A cura di TINO GRINDI
SASSARESU IN CIABI
A proposito di “Sassaresu in ciabi”, visto che si è alimentato un simpatico dibattito, tramite autorevoli appassionati della storia della nostra città; si può senz’altro affermare che chiavi, vere e proprie, non n'esistevano, ma erano solo simboliche, perché le porte si aprivano e si chiudevano solo dall’interno, con i famosi metodi delle stanghe, tipo “croccu”.
Chiaramente vi erano gli addetti, che solitamente per garanzia della città, dovevano essere nominati dal Podestà, e quindi vi erano anche deroghe che consentivano aperture fuori orario per esigenze di un certo tipo e qualche privilegio per eventuali ospiti.
Niente chiavi dunque, ma severi controlli degli orari imposti a tutela della comunità sassarese, tramite incaricati all’apertura e chiusura delle porte, i quali erano certamente delle persone di buona reputazione e onorabilità oltre che veri sassaresi d'origine, magari genovesi o pisani, considerata l’ascendenza, diventati poi aragonesi e poi anche spagnoli.
Sassari ha da sempre avuto appellativi d'ogni genere, riferiti alle sue attività, carattere, origini e storia. Difatti il sassarese era chiamato: impiccababbu, magnacaura, ciunfraioru, zappadurinu e vignatteri.
Avendo già parlato in altre occasioni del motivo e del nomignolo impiccababbu, parliamo dell’altro epiteto “magnacaura”, facilmente intuibile e traducibile in mangia cavoli. Il motivo però non è perché se ne mangiavano tanti, ma perché se ne producevano quantità da soddisfare la richiesta dell’intera Sardegna.Gli antichi e famosi orti di Sassari che si estendevano dalla valle del Rosello fino a Predda Niedda e Viale Porto Torres, coltivati da ottimi ortolani “zappadori”, producevano quantità enormi di ortaggi di eccellente qualità, dove primeggiava la popolare lattucca di caramasciu, o la celebre caura crepa di tana di lu mazzoni, o la ssignificato timata caura fiori di Santu Bainzeddu.
I rinomati orti, producevano tutti gli ortaggi conosciuti, non solo per la bravura degli ortolani, ma il gran merito lo si doveva all’acqua delle sorgenti dell’eba giara e del Rosello, che scorreva tra gli orti alimentata anche da materiale organico della città, formando piccoli, ma abbondanti rii, allora non inquinati da rifiuti tossici, quali detersivi, vernici etc. , così come purtroppo accade adesso, quindi un concime naturale che rinvigoriva gli ortaggi rendendoli di buonissima qualità.
Sassari era chiamata anche “vignattera”, poichè aveva, aldilà degli orti, anche delle famose vigne, sempre verso Portotorres e Platamona, precisamente nelle borgate di San Giovanni e Ottava, dove si produceva dello squisito vino da parte di competenti vignatteri (vignaioli). Famosissimo fino ad oggi “ Lu vinu bonu di Marchettu e Giagumona”.Sassari “Ciunfraiora” era invece un titolo che le faceva onore, era riferito, infatti, al carattere spiritoso e ridanciano che distingueva i suoi abitanti.
Ciò gli è servito tantissimo nella sua storia ed esistenza, infatti, anche nei momenti peggiori, si sdrammatizzava l’accaduto e ci si scherzava su. Un altro aspetto era quello di prendere in giro bonariamente e farne d’ogni cosa una cionfra, in pratica una beffa o una burla; da qui i cugini “sussinchi”, ne hanno estrapolato il meglio e tuttora seguono le orme dei sassaresi, superandoli anche in esuberanza comportamentale, tramite immediate ed efficaci battute scherzose.
Per concludere, questa Sassari ha tanto da raccontare alle nuove generazioni, proiettate verso un futuro sempre più tecnologico, che li priva del minimo indispensabile di poter conquistare qualcosa con le proprie mani e proprie idee, trovando invece tutto già pronto a tavola, come un bel piatto di “fabadda”!A proposito, ve lo immaginate come potrebbe essere una favata senza i cavoli a foglia degli orti di Sassari! Credo mutilata del miglior ed indispensabile ingrediente.