A volte la storia che cerchiamo di raccontare, sulla base di fatti sentiti durante l’infanzia dai nostri vecchi, oppure letti chi sa dove, sprigiona la nostra fantasia, mossa dalla voglia dell’immaginare il come, tantissimi anni fa, si svolgeva ed evolveva la vita dei nostri predecessori. Ed ecco che la mente elabora quelle che io chiamo “Fantasie storiche” (anche se il tutto parrebbe una chiara antitesi: se fantasia è non può esser storia!) utili però per farci sognare e viaggiare, a ritroso nel tempo. Come tale, dunque dobbiamo accettare quanto sto per raccontare: un aneddoto recuperato da chi sa quale racconto o lettura appresi durante l’infanzia e gelosamente conservati nella cantina dei ricordi....
Non so, forse intorno al 1800 Porto Torres era una cittadina portuale ricca di traffici. Pelli, tabacco, legname e molte altre mercanzie costituivano il traffico ogni giorno. Navi che scaricavano merci e navi che ne imbarcavano altre. Dall’alto i Gabbiani assistevano al benessere di gente impegnata in attività commerciali di ogni genere. I cavalli aspettavano fuori dalla “banca”, fuori dalle taverne, fuori dalle officine dove, uomini e donne, si scambiavano mercanzie, soldi e di certo “ALTRO”. In sella a due maestosi cavalli, un gentiluomo sassarese accompagnato dal suo segretario (che altri non era che un figlio del popolo con il quale il nobile, fin dall’infanzia aveva trascorso, in grande amicizia., la sua vita < questo però non era bastato a modificare i modi popolani del fraterno amico un po bifolco>), provenienti da Sassari fecero ingresso nella cittadina turritana ivi spinti per concludere alcuni affari. La strada principale, in quel sabato mattina, era gremita dalle persone più diverse: bambini sudici giocavano nei numerosi guazzi d’acqua piovana ai bordi della strada; beghine dalle lunghe gonne nere si muovevano quasi in processione verso la chiesa; mentre eleganti uomini d’affari, come formiche bianche su un campo bruciato, si distinguevano tra una moltitudine di persone abbigliate con semplicità. I nostri amici, poichè si appropinquava l’ora di colazione, notando verso la fine della strada una familiare insegna di una taverna, reputarono opportuno rifocillarsi dopo la loro lunga cavalcata, prima di compiere il loro doveroso onere per il quale erano giunti in città.
Appena sceso di sella, il gentiluomo fu attratto da una donna bionda e dall’aspetto matronale che, armata di ombrellino gli era passata davanti. L’intensa fragranza del suo profumo e il sgargiante colore degli abiti aderenti che indossava risvegliarono nell’uomo una passione mai troppo sopita nonostante la sua mezza età. Vedendo che la donna gli aveva lanciato uno sguardo ammiccante, il gentiluomo non seppe trattenere il proprio ardore e, dopo un ammirato inchinino esordì, sfoggiando il suo miglior sorriso con una frase, chiaramente stereotipo di collezione: “Signora, la vostra bellezza offusca anche la più splendida rosa che sia mai stata colta”. La donna, visibilmente lusingata da quelle gentili parole, rispose abbozzando un sorriso, che subito dopo nascose dietro l’ombrellino rosa. Il tutto continuava a svolgersi sotto gli occhi del segretario, occhi che lampeggiavano di invidia mista ad imbarazzo popolano, quando ad un certo punto l’ardito e nobile dongiovanni estrasse dalla tasca, come per magia, un piccolo cofanetto di metallo e supplicò la signora di accettare in dono quel piccolo carillon. Lo strumento una volta aperto, diffuse nell’aria le dolci note del rondò della sonatina numero cinque di Muzio Clementi. Le guance della donna si venarono di rosso mentre estasiata da quella dolce musica, si portò la mano destra sul cuore. Fu allora che la procace Signora, dopo aver chiesto da chi venisse quell’omaggio e avendo appreso il nome e il titolo del gentiluomo che reputo ben adeguato alle sue buone maniere, si presentò anch‘ essa rivelando il proprio nome e la fortuita circostanza che la vedeva essere la padrona della locanda e che per tale motivo si sentiva onorata di invitare a colazione i due inaspettati nuovi amici che, più che volentieri, furon lieti accettare l’invito. < (la signora era una piacente donna, intorno alla quarantina, il cui viso truccato con molta cura era appena percorso da qualche piccola ruga. Si seppe in seguito che la vita, in realtà, non era stata troppo tenera con Lei.
A soli sedici anni, Beatrice - cosi la chiameremo con nome di fantasia - era stata mandata a servizio da un altro nobiluomo di Sassari. In realtà in quella casa, oltre ad aver assolto quotidianamente i doveri di una donna di servizio, aveva anche condiviso i piaceri del talamo con il suo datore di lavoro e l’affezione si era poi trasformata in amore, tanto che sul punto di morte il suo padrone l’aveva sposata lasciandola erede di ogni suo bene. Solo allora, un fratellastro della signora, un uomo che svolgeva una vita poco cristallina dal punto di vista della legalità, si ricordò di lei e così, nelle rare occasioni in cui le faceva visita, non perdeva tempo per vessarla e e spillarle ingenti somme di denaro. Ora la vedova divenuta nel frattempo padrona di quella locanda, godeva di una certa tranquillità economica, che solo a causa del congiunto non consanguineo non poteva definirsi vera agiatezza)>. Limitandomi a quanto riportato e non volendo entrare in particolari poco convenienti, mi preme dire che quello di quel giorno, in quel di Porto Torres, fu un incontro importante per i nostri personaggi: L’astuto gentiluomo tenne per se come amante la bella signora (dopo averla indotta a vendere la locanda) e la condusse a Sassari dove abito per molti anni, da allora, in qualità di moglie, fedele sposa, del suo fraterno amico e segretario. Dei nostri ignoti protagonisti di questo aneddoto che possiamo definire “Una fantasia storica” che ci accompagna in questi ultimi giorni dell’anno 2014, sicuramente non si vuole ricercare ne una morale ne una moralità per allora improbabile, ma corre l’obbligo di dire che, una volta estintasi la nobile famiglia sassarese alla quale apparteneva il nostro gentiluomo, continuano ad usufruire di tutti i suoi beni di sempre i figli che la bella signora seppe dare a lui e al suo segretario.. Purtroppo non furono in grado di acquisire il casato e fregiarsi del titolo, ma constà che, ancora al giorno d’oggi, i loro discendenti, invisibili e sconosciuti al mondo dei nobili, siano abbastanza ricchi e rispettati ma anche ignari delle loro origini e inconsapevoli che quanto tutto di loro pertinenza gli sia stato donato da una bella e generosa locandiera.
Appena sceso di sella, il gentiluomo fu attratto da una donna bionda e dall’aspetto matronale che, armata di ombrellino gli era passata davanti. L’intensa fragranza del suo profumo e il sgargiante colore degli abiti aderenti che indossava risvegliarono nell’uomo una passione mai troppo sopita nonostante la sua mezza età. Vedendo che la donna gli aveva lanciato uno sguardo ammiccante, il gentiluomo non seppe trattenere il proprio ardore e, dopo un ammirato inchinino esordì, sfoggiando il suo miglior sorriso con una frase, chiaramente stereotipo di collezione: “Signora, la vostra bellezza offusca anche la più splendida rosa che sia mai stata colta”. La donna, visibilmente lusingata da quelle gentili parole, rispose abbozzando un sorriso, che subito dopo nascose dietro l’ombrellino rosa. Il tutto continuava a svolgersi sotto gli occhi del segretario, occhi che lampeggiavano di invidia mista ad imbarazzo popolano, quando ad un certo punto l’ardito e nobile dongiovanni estrasse dalla tasca, come per magia, un piccolo cofanetto di metallo e supplicò la signora di accettare in dono quel piccolo carillon. Lo strumento una volta aperto, diffuse nell’aria le dolci note del rondò della sonatina numero cinque di Muzio Clementi. Le guance della donna si venarono di rosso mentre estasiata da quella dolce musica, si portò la mano destra sul cuore. Fu allora che la procace Signora, dopo aver chiesto da chi venisse quell’omaggio e avendo appreso il nome e il titolo del gentiluomo che reputo ben adeguato alle sue buone maniere, si presentò anch‘ essa rivelando il proprio nome e la fortuita circostanza che la vedeva essere la padrona della locanda e che per tale motivo si sentiva onorata di invitare a colazione i due inaspettati nuovi amici che, più che volentieri, furon lieti accettare l’invito. < (la signora era una piacente donna, intorno alla quarantina, il cui viso truccato con molta cura era appena percorso da qualche piccola ruga. Si seppe in seguito che la vita, in realtà, non era stata troppo tenera con Lei.
A soli sedici anni, Beatrice - cosi la chiameremo con nome di fantasia - era stata mandata a servizio da un altro nobiluomo di Sassari. In realtà in quella casa, oltre ad aver assolto quotidianamente i doveri di una donna di servizio, aveva anche condiviso i piaceri del talamo con il suo datore di lavoro e l’affezione si era poi trasformata in amore, tanto che sul punto di morte il suo padrone l’aveva sposata lasciandola erede di ogni suo bene. Solo allora, un fratellastro della signora, un uomo che svolgeva una vita poco cristallina dal punto di vista della legalità, si ricordò di lei e così, nelle rare occasioni in cui le faceva visita, non perdeva tempo per vessarla e e spillarle ingenti somme di denaro. Ora la vedova divenuta nel frattempo padrona di quella locanda, godeva di una certa tranquillità economica, che solo a causa del congiunto non consanguineo non poteva definirsi vera agiatezza)>. Limitandomi a quanto riportato e non volendo entrare in particolari poco convenienti, mi preme dire che quello di quel giorno, in quel di Porto Torres, fu un incontro importante per i nostri personaggi: L’astuto gentiluomo tenne per se come amante la bella signora (dopo averla indotta a vendere la locanda) e la condusse a Sassari dove abito per molti anni, da allora, in qualità di moglie, fedele sposa, del suo fraterno amico e segretario. Dei nostri ignoti protagonisti di questo aneddoto che possiamo definire “Una fantasia storica” che ci accompagna in questi ultimi giorni dell’anno 2014, sicuramente non si vuole ricercare ne una morale ne una moralità per allora improbabile, ma corre l’obbligo di dire che, una volta estintasi la nobile famiglia sassarese alla quale apparteneva il nostro gentiluomo, continuano ad usufruire di tutti i suoi beni di sempre i figli che la bella signora seppe dare a lui e al suo segretario.. Purtroppo non furono in grado di acquisire il casato e fregiarsi del titolo, ma constà che, ancora al giorno d’oggi, i loro discendenti, invisibili e sconosciuti al mondo dei nobili, siano abbastanza ricchi e rispettati ma anche ignari delle loro origini e inconsapevoli che quanto tutto di loro pertinenza gli sia stato donato da una bella e generosa locandiera.
A cura di : Mario Grimaldi